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sabato 21 dicembre 2013

Chiediamoci dove eravamo mentre l’Italia cadeva a pezzi

Girando per il web mi sono imbattuto su questa splendida analisi dell'attuale situazione socio/economica del Paese. 
Analisi ruvida, graffiante, fuori dagli stereotipi del giornalismo ammuffito e servile, che infesta le pagine dei giornali.
Aria fresca, frizzante che ti sbatte sul viso tanto da farti svegliare dal torpore in cui ci siamo assopiti. Ve la giro, sperando che faccia fare anche a voi, qualche riflessione come è successo a me.
Buona lettura.

Aladino Lorin


Quando avevo 20 anni ero innamorata persa di Manuel Agnelli degli Afterhours. Ero pazza di lui perché toccava le corde scoperte della mia anima da bimbaminkia decadente e, così facendo, mi causava tsunami ormonali come nemmeno la mano di Kate Winslet sbattuta sul finestrino appannato, dopo la fornicazione con Leonardo Di Caprio, inTitanic. Cosa non avrei fatto, io, per Manuel Agnelli, a quei tempi.
In questi giorni c’è una canzone degli Afterhours che continua a tornarmi in mente, che s’intitola “La Gente sta Male”. Dice una cosa semplicissima, Manuel Agnelli, in quella canzone. Dice che “vivere male prima o poi ti fa male”. È un’ovvietà, se ci pensi. E invece noi, noi italiani dico, non ci abbiamo pensato.

Non ci abbiamo pensato per decenni. Non ci abbiamo pensato mentre i nostri diritti venivano ridotti in miseria. Non ci abbiamo pensato mentre la nostra cultura diventava ignoranza capillare e congenita. Non ci abbiamo pensato mentre la cosiddetta “classe dirigente” stuprava la nostra democrazia e praticava pissing sulle nostre vite e sul nostro futuro, cancellando la linea immaginaria che divideva il pensionato dal mendicante, il disgraziato dal padre di famiglia, il kamikaze dal ricercatore universitario. E ora? Ora c’è la crisi, che c’è stata sempre, la crisi, pure quando non c’era, pure quando si facevano le vacanze studio in Inghilterra e al compleanno ci regalavano la mountain bike con cambio shimano.
Solo che adesso la crisi c’è più di prima, c’è e non riusciamo a nasconderla sotto il tappeto, cambiandoci di nuovo la macchina, facendo finta di nulla. Ora il tanfo s’è allargato, non si vive più coprendolo con un deodorante per ambienti. Ora la crisi è un cappio che stringe il collo di chi non ce la fa più, che spinge i ragazzi via, lontano, che ci occlude l’arteria e ci accende di rabbia.
Eppure io mi chiedo: di cosa ci stupiamo? Vivere male, prima o poi, ti fa male. E noi abbiamo malvissuto. Tutti. Chi più, chi meno. Noi non l’abbiamo amato questo Paese e questo Paese così ci ricambia. Ed ora è fin troppo facile urlare, mettere dei forconi nei nostri cannoni e sparare nel mucchio. Possiamo farlo, forse siamo così esasperati che diventa persino comprensibile tutto questo, reagiamo con la pancia – perché è più facile e immediato – invece che con il cervello. Tuttavia, a ben vedere, c’è un grosso inganno alla base di tutto: la fuorviante idea che si possa sempre dare ad altri la colpa. E invece no. Invece la colpa di questa crisi è di tutti.
Se l’Italia fosse una donna, e gli italiani fossero il suo uomo, quella come minimo si scoperebbe il suocero e avrebbe pure diritto di farlo. Perché se una relazione si fonda sullo svilimento, sullo sfruttamento, sulla menzogna, sull’indecenza, sull’arrivismo, sul familiarismo, sulla violenza (contro il territorio, contro il paesaggio, contro il patrimonio culturale, contro i giovani), embé cos’è che vogliamo, poi? Che quella ci ami e ci sia fedele? Cosa abbiamo dato a questo Paese, per pretendere adesso? Che cittadini siamo stati? Che cittadini siamo stati ogni volta che non abbiamo fatto la raccolta differenziata, ogni volta che non abbiamo pagato le tasse, ogni volta che abbiamo illegittimamente usufruito di privilegi cui non avevamo diritto, ogni volta che “ci sarebbe il figlio di mio cugino da sistemare”, ogni volta che abbiamo trovato le scorciatoie, ogni volta che non abbiamo premiato il merito, ogni volta che abbiamo anteposto il nostro culo al culo della collettività, ogni volta che abbiamo rinunciato al nostro diritto al voto, ogni volta che non abbiamo preso posizione su argomenti sui quali era obbligatorio prendere posizione, ogni volta che abbiamo parcheggiato in un posto per disabili, ogni volta che facendo una manovra abbiamo distrutto un’automobile parcheggiata e siamo andati via senza lasciare il nostro numero al proprietario per pagargli i danni, ogni volta che dal medico abbiamo detto “faccia pure senza fattura”, ogni volta che abbiamo spacciato l’imbroglio per “arte di arrangiarsi”, ogni volta che abbiamo costruito abusivamente, ogni volta che abbiamo sottopagato il lavoro di qualcuno. Ogni volta, tutte quelle volte, che italiani siamo stati?
Ed ecco il punto: la crisi che viviamo non è puramente economica e non è soltanto politica. La nostra crisi siamo noi. La nostra società e la nostra civiltà, quella di cui siamo interpreti, quella che abbiamo contribuito a costruire e a distruggere.
E per risolverla, questa crisi, per uscirne migliorati, per essere più forti dopo, dobbiamo porci le domande giuste. Dobbiamo chiederci dove eravamo, cosa facevamo, mentre tutto andava in vacca. Quale schifosa fiction della tv generalista guardavamo, mentre una minoranza scellerata banchettava con le nostre esistenze. E, nel chiedercelo, dobbiamo ammettere di essere stati troppo mediocri, troppo superficiali, troppo ignoranti, persino disonesti. Nel chiedercelo dobbiamo capire che la dignità non è un valore assoluto, che bisogna presidiarla e difenderla: con le unghie, con i denti, con le fruste, con le zappe, con i mestoli, con le forchette e i cucchiai. Solo da questa consapevolezza, possiamo recuperare noi stessi.
Perché vedete, l’Italia era una donna meravigliosa. Solo che, come tutte le donne meravigliose, era ad altissimo mantenimento e noi non ci siamo impegnati abbastanza. Anzi, l’abbiamo trattata senza alcuna grazia. Non abbiamo forse tanto diritto di lamentarci, adesso, se quella è diventata una sgualdrina, se non ci vuole più.
Riconquistarla tocca a noi, non solo ai nostri politici.
E per riuscirci, per stare bene, dobbiamo vivere bene. Dobbiamo agire in funzione del bene comune e pretenderlo come conditio sine qua non di una società migliore. Dobbiamo agire bene, muovere le chiappe, accendere le sinapsi, pretendere rispetto e dare rispetto.
Solo dopo, forse, questo Paese tornerà ad amarci.

lunedì 2 dicembre 2013

Privilegio: da tutti criticato, ma da tutti (quasi) ricercato...

Penso che il privilegio vada combattuto e distrutto ovunque si annidi e che i poveri e gli emarginati, gli svantaggiati, gli ultimi vadano difesi in qualunque contesto a cui si faccia riferimento, sia esso economico sia sociale. Deve essere una esigenza morale di una società matura dare voce e possibilità concreta di contare nelle decisioni da parte di tutti, di cambiare le proprie condizioni, che certi bisogni sociali e umani oggi ignorati vadano soddisfatti con priorità rispetto ad altri, che la professionalità e il merito vadano premiati, che la partecipazione di ogni cittadino e di ogni cittadina alla cosa pubblica debba essere assicurata.
Molti italiani, secondo me, si accorgono benissimo del mercimonio che si fa dello Stato, delle sopraffazioni, dei favoritismi, delle discriminazioni. Ma gran parte di loro è sotto ricatto. Hanno ricevuto vantaggi (magari dovuti, ma ottenuti solo attraverso i canali dei partiti e delle loro correnti) o sperano di riceverne, o temono di non riceverne più.
Insomma, il privilegio è additato da tutti come un male da sconfiggere ed eliminare...si quello degli altri!


lunedì 25 novembre 2013

A Padova di chi ci si può fidare?

In relazione alla imminente approvazione del nuovo Piano Casa Regionale del Veneto, sono successe alcune cose che stridono molto agli occhi di noi imprenditori del settore e ci inducono a fare più di una amara riflessione.
La prima considerazione che viene da fare è che la politica della contrapposizione è sempre pronta a far danni, per cui se una proposta viene da una parte politica, viene criticata e osteggiata dall'altra parte, a prescindere dalla bontà della stessa, dai suoi contenuti e nel merito di quanto proposto. 
     La seconda più amara, perchè riguarda quello che succede dentro casa "nostra";
Ferdinando Zilio già Presidente ASCOM di Padova, ora Presidente della Camera di Commercio di Padova e da una settimana circa Presidente di Unioncamere Veneto, scrive: “Stop a nuovi capannoni in Veneto, bisogna usare l'esistente per non consumare ancora territorio. Ottimo lavoro di Ivo Rossi, sindaci di tutti gli schieramenti uniti contro il piano regionale... io sono con loro,  va rivisto”.
     A parte che il disegno di legge sul nuovo piano casa non parla e quindi non prevede nuovi capannoni e che a parte  i sindaci di sinistra e qualche cane sciolto della Lega, la stragrande maggioranza approva le proposte fatte dalla Maggioranza consigliare, è strano che dopo che la maggiore organizzazione degli artigiani, Confartigianato, Confindustria e altre ancora hanno espresso un apprezzamento per il nuovo piano casa, chi li dovrebbe rappresentare nella “CASA DELLE IMPRESE” dice esattamente il contrario.
     A parte le tante coppie e non che aspettano una nuova casa, noi conosciamo molte imprese edili, molti falegnami, molti elettricisti, molti idraulici che aspettano con speranza gli ampliamenti che potranno essere realizzati con il nuovo piano casa. Ci viene spontaneo chiederci se Zilio sia l'uomo giusto per rappresentare il mondo delle imprese produttive del Veneto, oppure se lo stesso,  si muova nella logica di restituire il favore al Ministro Zanonato che, si mormora, lo abbia imposto in Camera di Commercio incurante della rottura che avrebbe provocato tra le alleanze costruite dentro il mondo delle imprese, in primis tra le varie componenti di Rete Imprese Italia e Confndustria.

CONSIDERAZIONI:

     Dopo anni che il mondo delle imprese viene tradito da tutti ad iniziare dal mondo politico, sarebbe davvero triste che adesso scoprisse traditori anche al proprio interno. Peggio ancora se si vendessero gli interessi delle categorie rappresentate in cambio di un paio di poltrone.

giovedì 14 novembre 2013

QUESTIONE DI VITA O DI MORTE

Il direttivo di SOS ECONOMIA ITALIA riunito in seduta straordinaria per valutare il da farsi per fermare i troppi  suicidi di imprenditori a causa della crisi ha approvato l'iniziativa del Presidente che, insieme a Confedercontribuente,  ha sottoscritto un appello alle forze politiche ed alle organizzazioni professionali a fare qualcosa in favore delle imprese e degli imprenditori colpiti dalla crisi.
Per aggredire la situazione con più decisione,  ha dato mandato al Presidente di chiedere al Presidente della Camera di Commercio di Padova Fernando
 Zilio di convocare una serie di incontri con l'obiettivo di proporre alla Regione ed al Governo provvedimenti in grado di fermare la strage in atto.

Si tratta di una questione di vita o di morte:
Il Direttivo ritiene opportuno che Fernando Zilio,  Presidente della casa delle imprese e di conseguenza anche degli imprenditori, convochi, in incontri separati: tutte le associazioni professionali, i rappresentanti di banche e fondazioni bancarie, i rappresentanti dei comuni, provincia e Regione e successivamente con tutti i parlamentari e Consiglieri Regionali padovani con lo scopo di:
1)      individuare le azioni in grado di riportare i livelli di erogazione del credito alle imprese, da parte del sistema bancario, al periodo pre-crisi;
2)      dotare i fondi anti-usura di provviste in grado di consentire alle Istituzioni  territoriali di intervenire nei confronti di imprenditori in crisi
3)      valutare come mondo imprenditoriale l'attivazione di strumenti in grado di aiutare il superamento della crisi in atto salvando il maggior numero di imprese operanti sul territorio padovano
4)      quantificare le risorse che come Governo, Regione e Fondazioni bancarie è possibile immettere nel tessuto produttivo padovano per una inversione di tendenza della crisi che sta strangolando troppe nostre imprese
La nostra proposta nasce dalla presa d'atto che per troppe imprese,  il superamento della crisi in essere, è una questione di vita o di morte e che della drammaticità della crisi non c'è consapevolezza nei palazzi del potere.

     

Convegno Confedercontribuenti: "se le banche sbagliano, pagano?"

Convegno Confedercontribuenti
Albignasego (PD) 9 novembre 2013

Di fronte ad una sala gremita di Villa Obizzi di Albignasego (PD) ha avuto luogo il convegno della Confedercontribuenti sugli abusi bancari. Se ne è stupito anche il sindaco di Albignasego e assessore al lavoro della Provincia di Padova Arch: Massimiliano BARISON. Ha rilevato infatti che riempire una sala alle nove di mattina e di sabato mattina , vuol dire che Confedercontribuenti ha portato all'evidenza un problema fortemente sentito dagli imprenditori e dalle loro famiglie.
L'assessore Barison, portando il suo saluto ha auspicato la riapertura degli osservatori sul credito che erano stati aperti e poi inspiegabilmente chiusi presso le Prefetture.
Un saluto accorato è stato portato anche da don Enrico TORTA parroco di Dese/Mestre che ha evocato una immagine biblica dicendo che il danaro è diventato il “vitello d'oro” del deserto. Ha anche ricordato che l'usura, anche quando è praticata dalle banche, è un fenomeno che sta peggiorando la qualità della vita delle persone e sta portando alla disperazione ed al pianto un numero grande di nostri fratelli.
Alfredo Belluco, Presidente di Confedercontribuenti Veneto, nella sua relazione ricca di esempi sul comportamento usuraio ed applicazione di anatocismo (interessi su interessi) da parte delle banche è arrivato a concludere che una buona parte degli imprenditori “pagano il pizzo” alle banche. Ha anche affermato che a fronte di sofferenze dichiarate dalle banche per 170 miliardi di euro, si calcola che le banche debbano, per usura, anatocismo e danni vari ai propri clienti, oltre 400 miliardi di euro, di cui 40 nel solo Veneto. Sempre secondo Belluco, è singolare che la legge preveda pene da un minimo di 9 anni ad un massimo di 15 in caso di usura praticata dalle banche e che non ci siano condannati nei tribunali italiani anche dopo che in sede civile tribunali della nostra Repubblica abbiano accertato l'usura come nel caso della Cassa Rurale dei Colli Euganei di Lozzo Atestino (PD).
Belluco, visto il numero enorme di conti correnti ed anche mutui gestiti dalle banche violando la legge, ha invitato gli imprenditori e le famiglie a chiedere l'esame gratuito da parte della Confedercontribuenti dei conti correnti. E' l'unico modo per accertare se ci sono irregolarità e per decidere se è il caso di agire o con un tentativo di conciliazione o con una vera e propria azione legale.

Il Presidente di Confedercontribuenti Veneto, riferendosi a quanti dicono che tutti, comprese le banche, siamo sulla stessa barca, ha affermato che ciò è vero ma di fatto noi imprenditori siamo nella stiva a remare ed i bancari e soprattutto i banchieri sono sul ponte a gozzovigliare.

lunedì 7 ottobre 2013

Padova e l’economia: passato, presente… e quale futuro?

Intervento introduttivo al Convegno organizzato da SOS Economia Italia del 5 Ottobre 2013Aladino Lorin

Voglio partire con un breve aneddoto. Avevo poco più di vent’anni, finite le scuole superiori e il servizio militare, quando mio padre mi accompagnò presso la filiale della sua banca, e chiese al direttore, che ci conosceva bene, di aprire un conto corrente a mio nome, con relativo fido, per l’avvio di una nuova ditta tutta mia. Mezz'ora di formalità ed ero fuori, con il mio blocchetto di assegni ed un gruzzoletto per le prime necessità del nuovo artigiano… il sottoscritto”.
Stavo pensando a quello che succederebbe oggi se accompagnassi mio figlio in banca, sarebbe lo stesso? Certo che no!
Conosciamo gli slogan “un’impresa in un giorno” e “largo ai giovani”, ma il direttore di banca, cambiato da poco, non conosce nessuno, e poi io sono un edile - e quindi a rischio.  Risultato? Niente fido, e senza la firma di parenti capienti o garanzie equivalenti alla richiesta, in titoli o BOT, niente da fare.
Ma ammesso comunque ci fossero le condizioni economiche per partire, il giorno dopo l’avvio dell’attività una sequela incredibile di incombenze attende il neo imprenditore; affitto, contributi, IVA, contributo per la Camera di Commercio, tasse,  studi di settore, burocrazia da pagare, e chi più ne ha più ne metta.
Sono un imprenditore? Mi dicono che:
Devo nominare il responsabile della sicurezza.
Devo partecipare ad un corso per fare il responsabile della sicurezza.
Devo fare il piano della sicurezza.
Devo portarmi in cantiere il dossier sulla sicurezza che deve essere fatto da uno specialista. Costo? dai 500 ai 1000 euro.
Devo cambiare il camion vecchio perché lavorando in città non è in regola con le emissioni.
Devo procurarmi il DURC.
Devo fare un corso come gruista altrimenti non posso noleggiare la cesta per raggiungere la grondaia.
Devo recuperare la documentazione per dimostrare che tutti gli attrezzi sono omologati. Il rischio, se no, in caso di incidente, per me titolare, è la galera.
Devo fare un corso per usare il muletto in azienda.
Devo chiamare il tecnico per modificare il programma contabile del computer perché due “sapienti”, che si chiamano Letta e Alfano, giocando sulla nostra pelle, non si sono messi d’accordo e l'IVA è passata dal 21 al 22%.
Devo lavorare gratis per 18 mesi da un commercialista se voglio fare l'esperto contabile.
Devo avere tre anni di esperienza se voglio fare il titolare di un’impresa agricola.
Devo avere il patentino per usare gli antiparassitari e i diserbi se sono imprenditore agricolo.
Devo procurarmi il registro di magazzino e dei trattamenti se sono viticoltore o frutticoltore
E poi… devo, devo, devo.
Per quanto uno possa essere ottimista, è chiaro e palese a cosa si va incontro quando si apre una attività in questo paese. 
Vogliamo crescita e sviluppo? Dobbiamo creare le condizioni per favorire l’iniziativa privata e la nascita di nuove imprese, portando occupazione e ricchezza.
Ma quanto sono cambiati gli scenari in trent’anni?
Vi invito a consultare le tabelle in coda all'intervento, con i dati forniti dalla Camera di Commercio inerenti le dinamiche degli addetti, il reddito, il numero di imprese e i tassi di crescita degli ultimi anni.

Negli ultimi anni c'è calo praticamente in tutti i settori.
Analizzando i dati vediamo che Padova e provincia è passata da un Pil di 59 milioni di euro nel 1951,  ad un Pil di 25 miliardi e 700 milioni di euro nel 2011. 
Questo vuol dire che se crisi ci sono state sono state superate da una abbondante e progressiva produzione di ricchezza. 

Ma oggi c'è solo crisi, e cala anche la produzione di ricchezza.
 Tutto ciò dimostra, con evidenza, che qualcosa non va. In questi ultimi 6 anni di crisi si è tolto ossigeno e provocato asfissia ai produttori. Banche, finanza, casta politica e burocratica asservite al mondo bancario e finanziario non si curano di noi.
Vogliamo curarci dal rischio asfissia?  dobbiamo spuntare le armi a chi la provoca.   
Intanto, facendo tutto ciò che va fatto dal di dentro per fare stare a galla le nostre aziende - e poi dandoci da fare sul fronte politico, RICOSTRUENDO una rappresentanza che da anni noi produttori di ricchezza non abbiamo più.
Le tabelle riportano in modo lapalissiano un dato: le microimprese (sotto i 9 addetti) erano il 92,8 % (72.155) nel 2001 e sono il 90,2% (75.758) nel 2011.
Gli occupati nella microimpresa erano 140.394 nel 2001 e sono 149.079 nel 2011.
 Imprenditori e lavoratori devono costruire una alleanza per la sopravvivenza. 
Parliamo di una alleanza fra persone,  non fra organizzazioni.  Per superare l’empasse delle organizzazioni ci vorrà del tempo. Perseguiremo l'obiettivo con calma, tenacia e molta determinazione.
Del resto la situazione delle imprese è quella descritta: un percorso ad ostacoli senza fine per l’accesso al 
credito, per stare in un paese dalla tassazione infinita, per una burocrazia asfissiante, per una giustizia che è 
tale solo di nome, per un ambientalismo di facciata che non tutela l’ambiente ma in compenso rovina il 
fegato tutti i santi giorni.


Dallo slogan “la rassegnazione non abita qui” e dalla volontà di reagire a questa situazione di grave crisi, nasce SOS ECONOMIA ITALIA.
Fin dalla presentazione, più di qualcuno ci ha chiesto: “ma c’era bisogno di una nuova associazione? Ce ne sono già tante!”. 
Si! Ce n’era bisogno. La consapevolezza che questa crisi non è colpa nostra, è forte in noi e ci spinge ad agire.
Quando un politico sa che bisogna tagliare gli sprechi e continua ad aumentare il debito pubblico. Quando con le sue decisioni mette la mia impresa sul lastrico, rovina la mia famiglia e nonostante tutto continua a chiedermi soldi che non ho più, - agire ed essere protagonisti non è solo una necessità, è un dovere.
Per noi, piccoli imprenditori di questo territorio, da sempre questo è il nostro modo di essere:
- determinati
- con la grinta di chi non molla mai
- rispettosi del lavoro nostro e dei nostri collaboratori
- con al centro dei nostri programmi la famiglia, l’impresa, il rispetto delle regole e delle istituzioni
…e quello che dipendeva da noi l’abbiamo fatto:
- abbiamo lavorato tanto
- abbiamo investito i soldi prima di prenderli, quelli nostri e quelli dei nostri genitori
- abbiamo pagato le tasse e difeso l'ordine costituito.
- abbiamo delegato altri a rappresentarci nelle istituzioni, spesso dando deleghe in bianco - e questa politica ci ha riempito di burocrazia
Gli stessi politici e le nostre organizzazioni professionali cui noi abbiamo dato delega piena:
- ci hanno spremuto come dei limoni per mantenere uno Stato elefantiaco ed inefficiente
- hanno dato carta bianca alle banche ad alla finanza
- hanno provocato un disastro ed ora i costi della crisi li fanno pagare a noi.
- Le associazioni di categoria sono state assenti, o peggio, conniventi con il potere politico, per difendere privilegi di funzionari, o di qualche Dirigente.
Noi piccoli imprenditori abbiamo fatto tanto per la crescita dei nostri territori, in termini di ricchezza e benessere diffusi e conseguente pace sociale. Abbiamo ricevuto scarpe in faccia, scarsa considerazione sociale e siamo stati acciati a più riprese quali causa della crisi in atto.
Ecco, per queste ragioni è nata SOS ECONOMIA ITALIA!
COSA FARE?…PRIMO, DENTRO LE NOSTRE IMPRESE
Ad esempio sul credito sappiamo che perdurerà la stretta creditizia e quindi bisognerà improntare delle strategie aziendali con liquidità fortemente ridotta. Non sempre lo scontro quotidiano con le banche paga. -- Bisogna ricercare  il dialogo con funzionari che spesso sono più frustrati di noi imprenditori.
- Bisogna ristrutturare i tempi di pagamento clienti/fornitori per diminuire il ricorso alla banca.
- Bisogna, in presenza, di perdite non dormirci sopra, e trovare le cause e intervenire.  
- Bisogna verificare i costi di produzione cambiando tempi e metodi di lavoro per ogni singolo prodotto. - ---- Bisogna avere il coraggio di cercare e fare alleanze, quando le dimensioni aziendali sono troppo piccole per resistere sul mercato.
Ad esempio la nuova legislazione sulle “reti d'impresa” ci sembra un ottimo stimolo per ricercare soluzioni in grado di sviluppare sinergie fra più unità produttive senza necessariamente arrivare ad una nuova azienda consortile. 
E' una sfida che richiede un salto culturale tutt'altro che semplice ed un aumento delle capacità manageriali non sempre a portata di mano. E' una sfida per chi non ha paura di misurarsi con tutti i luoghi comuni che caratterizzano la nostra mentalità. Si tratta anche di interessanti banchi di prova per i giovani, soprattutto se diplomati o laureati, che intendano sviluppare le proprie capacità di leadership nella professione di manager di rete.
…POI GUARDIAMOCI INTORNO
Quando avremo fatto tutto il possibile in casa nostra, costruiamo le giuste alleanze, allo scopo  di ristrutturare il sistema Italia, costruendo un Paese che favorisca  il fare impresa.

La convinzione è che noi imprenditori dobbiamo imparare a curare i nostri interessi in prima persona anche in campo politico, disegnandoci un nuovo ruolo nella rappresentanza politica e sociale.
Basta deleghe in bianco! A nessuno.
Nei tavoli, dove si decidono le sorti del nostro Paese, vogliamo ci sia seduto anche qualcuno dei “nostri”.
-Vogliamo riportare al più presto, al centro del dibattito politico, la famiglia e l’impresa tramite proposte concrete e attuabili.
-Vogliamo creare una rete di rappresentanza territoriale in grado di divenire protagonisti nelle scadenze elettorali, magari in sinergia con le Organizzazioni Professionali, che questa rete di rappresentanza la possiedono già. Sono di questi giorni i vari appelli apparsi sulle pagine dei quotidiani locali, che vanno in questo senso.
Ritornando alla domanda nel titolo del convegno, ossia QUALE FUTURO  ci attenderà,  credo che la risposta vada cercata in quello che sapremo costruire. Chiedetemi se sono ottimista?
Vi rispondo di Si! 
Si, per il coraggio degli imprenditori e dei loro collaboratori, degli artigiani, dei commercianti, degli agricoltori, dei professionisti, dei giudici coraggiosi, della gente comune che sta imparando a sostenersi sulle proprie gambe, confrontandosi giorno dopo giorno alla crisi con i sacrifici e l’operosità, inventandosi nuove attività e modalità di sostentamento, abituati a non pesare sulla nostra economia ma a rimboccarsi le maniche.
Ecco perché sono fiducioso, nonostante tutto, nonostante gli intralci di una politica fatta da persone meschine, incapaci e incuranti delle sorti del proprio Paese.
Una nuova consapevolezza è nata, e fra gli imprenditori che producono ricchezza c’è una gran voglia di pulizia, di facce nuove, di una nuova politica fatta nell’interesse di cittadini protagonisti.
QUESTO E’ SOS ECONOMIA ITALIA.



Tabella1: dinamica addetti primi 10 settori industriali

















Tabella2: dinamica addetti primi 10 settori con riduzione addetti

















Tabella3: industrie settori con aumento addetti

















Tabella4: terziario settori con diminuzione addetti

















Tabella5: dinamiche addetti settori in aumento

















Tabella6: sintesi principali indicatori economici confronto Padova con Veneto






















Tabella7: occupati per macrosettori











Tabella8: reddito lordo prodotto






















Tabella9: imprese operative dati 2008 – 2012




















Tabella10: agricoltura



































Tabella11: imprese per classi di addetti





















Tabella12: tassi di crescita imprese attive


















sabato 21 settembre 2013

NON C'E' LAVORO SENZA IMPRESA

 Su SoS Economia Italia e su alcune iniziative in atto abbiamo rivolto alcune domande al Presidente Aladino Lorin. Pubblichiamo qui di seguito le risposte.

SOS Economia Italia è nata sei mesi fa. Come giudichi l'entrata in scena?
Il nome SoS Economia è di fatto un grido d'allarme. Da imprenditore dico che viviamo in ambiente ostile. Sono anni che ci sentiamo soli. Chi abbiamo delegato a risolvere i nostri problemi si è dissolto come neve al sole.
A chi ti riferisci?
Mi riferisco alle organizzazioni professionali che sono diventate delle cartiere. La burocrazia ha finito per sotterrare i problemi degli associati.
Mi riferisco ai politici. Dovrebbero essere la voce del territorio in Parlamento, in Consiglio Regionale. Con rare eccezioni, politicamente parlando, mi sembrano dei morti che camminano.

Sembra un giudizio senza appello.
No. Ma mi incazzo quando capisco che ad esempio il DURC fa restare senza lavoro le imprese o diventa il pretesto per non pagarle. Giro il problema a chi ho votato per una vita e neanche ti risponde.
Il DURC è un esempio. Ma sono mille le pistole puntate al cuore delle imprese: le tasse, il credito, le banche, la finanza speculativa, la burocrazia e via discorrendo.
Bisogna riportare al centro della scena economica e politica l'impresa. SOS Economia Italia vuole essere un grimaldello per farlo.

Riuscirete?
Siamo partiti con molta determinazione. Abbiamo avuto accoglienza, ascolto ed incoraggiamenti ad andare avanti dal mondo imprenditoriale. Siamo alla ricerca di risorse. Vogliamo però una rete di collegamento territoriale capillare. Ci stiamo attrezzando per farla.

Ora potrete contare anche su alleanze con chi, ad esempio Leo Padrin, che con l'associazione nuova di zecca + Veneto si lancia con lo slogan “NON C'E' LAVORO SENZA IMPRESA”.......
Accendere i riflettori sui problemi dell'impresa è positivo ed utile. Lo slogan scelto centra il problema del lavoro. Speriamo però che questa tardiva presa di coscienza non serva solo a promuovere i promotori piuttosto che l'impresa.

Sei sferzante!
Ho solo buona memoria! Vedi, gli imprenditori come me hanno lavorato 8, 10, 12 ore al giorno, sempre, tutti i giorni. La crisi non l'abbiamo creata noi. Il debito pubblico non l'abbiamo creato noi, le regole per promuovere la finanza speculativa anche in Italia, non le abbiamo fatte noi. La pressione fiscale a livelli insopportabili non l'abbiamo portata noi, e potrei continuare a lungo. Responsabile di questa crisi è, in primis, questa classe politica di destra e di sinistra. Negli ultimi venti anni hanno governato metà per ciascuno.

Quindi vuoi cambiare?
Si. Chi hai citato prima, insieme a molti altri, è stato in cabina di regia del governo regionale, altri lo sono stati a livello nazionale. Da chi propone uno slogan impegnativo come quello da te citato,  mi aspetto due cose:
 a) che si faccia carico degli errori fatti a livello politico, penalizzando l'impresa.
 b) che dica chiaro che in seguito a ciò è pronto a fare un passo indietro  e si dia da fare per portare nella scena politica padovana e veneta imprenditori veri che con la loro presenza siano garanti delle aspettative delle imprese.
Se non fanno questo, siamo alle solite: vogliono mettere cappello sul forte malcontento presente fra gli imprenditori  per chiedere nuovamente una delega in bianco per rappresentarci. Basta! Abbiamo già dato. Ora diciamo basta deleghe. Gli imprenditori si rappresenteranno, dentro le istituzioni, da soli. Siamo pronti a confrontarci con tutti ma dove si decide del nostro futuro vogliamo esserci in prima persona.


La presente intervista è stata realizzata
a cura della Segreteria Organizzativa di
SoS Economia Italia

Padova, lì 7.09 2013

martedì 27 agosto 2013

Quanto tempo possiamo permetterci di sprecare ancora?

Giorgio Panto; vizi e debolezze del sistema di rappresentanza imprenditoriale

Continua il viaggio alla riscoperta degli scritti di Giorgio Panto fatti una ventina di anni fa su questioni che si dimostrano ancora attuali, dimostrando lucidità e  lungimiranza su alcuni temi legati al nostro territorio.
Oggi vi propongo questa intervista del maggio del 1993 sul tema delle associazioni di categoria, nella quale Panto scatta una fotografia precisa e puntuale sulle debolezze del sistema della rappresentanza imprenditoriale e dei limiti che in questi vent'anni hanno contribuito alla desertificazione delle idee e delle proposte da parte degli imprenditori, contribuendo allo sfacelo del sistema produttivo del nostro territorio.
Questa intervista finisce con una esortazione che è una speranza che sembra scritta ora e valida ancor di più oggi di quando è stata scritta vent'anni or sono!
Rileggendo queste parole non si può fare a meno di pensare quanto tempo è andato sprecato inutilmente e fa scaturire una domanda legittima: "Quanto tempo possiamo permetterci di sprecare ancora?"


Intervista sulla situazione
 delle associazioni territoriali degli imprenditori

Ma perché ancora contro le associazioni territoriali?
La forza politica è latitante e allo sbando, quella sindacale ha una forte crisi di identità, sono crollate idealogie, gli slogan non attecchiscono più e si stanno imparando dure lezioni di libero mercato. Le associazioni di categoria imprenditoriali a livello centrale sono lontane dai problemi della "base", per una serie di convenienze e ambiguità. E' solo dalla "base" imprenditoriale che ci potrà essere un rinnovo di forze e di vera propositività. La "base" che lavora è stata ferita e bastonata, ora si sta leccando le ferite, ma sta anche rendendosi conto della sua forza.
Sono venticinque anni che ci siamo abituati a mediare la pressione delle vessazioni contro le nostre aziende, senza che gli organi centrali abbiano mai fato dura opposizione con uomini di spessore. E' questa "base" che produce la vera economia del paese, senza di essa è terzo mondo! Purtroppo le associazioni locali sono gestite ancora da una maggioranza reazionaria di piccoli potentati, che non vuole dispiacere allo "Stato maggiore" e ha troppa pusillanimità per scontrarsi contro un sistema "marcescente" che non gratifica né l'operaio ne l'imprenditore.
Devono andare a casa poiché stanno facendo violenza gli associati e al paese: la violenza del non fare.
Gli associati sono stufi del "far finta di fare" e dei discorsi sclerotizzati su letterine e giornaletti che da decenni fanno solo sbuffare e non servono a niente.

Ma perché questa sfiducia nella centralità?
La centralità fa capo a una ristretta lobby. La grande nomenclatura imprenditoriale non è in trincea ogni settimana come lo siamo noi. Le problematiche aziendali non sono le tasse.
Gestire migliaia di persone non è come gestirne decine o centinaia. Gli interessi che fanno capo a simili grandi concentrazioni finanziarie e produttive, possono in teoria e in base alle leggi di mercati sembrare gli stessi, ma a volte non lo sono.
Gli investimenti, i capitali che spostano, le grandi masse lavoro che mobilitano, coinvolgono cointeressenze politiche nazionali e internazionali, che le nostre dimensioni di "base" nemmeno si sognano. Ed è la "base" imprenditoriale che contribuisce per l'85 per cento al prodotto interno lordo.
Senza di essa non ci sarebbe benessere, cultura, risparmio, pluralismo.

Ma insomma, che responsabilità può addossare alle associazioni imprenditoriali?
Ora c'è la corsa alla privatizzazione! Ma con il centrosinistra, con le nazionalizzazioni dissennate dell'energia elettrica, dei telefoni, dei trasporti, ecc. ecc. ecc..., dov'era la Confindustria?
Nell'autunno caldo, salario variabile indipendente, statuto dei lavoratori per che non voleva lavorare e contratti di lavoro che hanno seminato catastrofi, ferite economiche ancor oggi aperte, dov'era la Confindustria?
Ancor oggi viene consegnato al dipendente meno della metà del suo stipendio mentre il costo del salario è il più alto del mondo! Dov'è la Confindustria?
Negli Stati Uniti duecentottanta milioni di cittadini e due milioni e mezzo di dipendenti pubblici. In Italia cinquantasette milioni di abitanti e quattromilioni trecentomila dipendenti statali. Negli Stati Uniti cinquecento parlamentari. In Italia novecentottanta.
Ma dov'è la Confindustria? Perché non si fa niente per ristabilire quella scuola di mestiere che si chiamava apprendistato, la fantasia e la manualità che l'artigiano sapeva esprimere oggi stanno morendo.
Ma dov'è la Confindustria?

Ma oggi con il crollo di ideologie e di slogan che avvelenano la nostra democrazia, si punta all'efficienza e alla produttività...
Ma ci rendiamo conto oggi di cosa sono i sostituti d'imposta, i mostruosi sostituti di contabilità Inps e Inail, le statistiche dei vari enti, i sostituti di stesura e compilazione del "740" per i dipendenti, le importazioni intercomunitarie che dal 1 Gennaio 1993 si sono maledettamente complicate e burocratizzate. 
Un terzo dei nostri impiegati sono costretti a scrivere numeri inutili!
Ma i presidenti della Confindustria e dell'Api si sono mai soffermati sulla compilazione di una bolla accompagnamento beni viaggianti e sui meccanismi necessari per venire in possesso dei formulari?
Perchè abbiamo pagato fino a ieri il bollo sul fuoco, e lo paghiamo sulle carte bollate, sugli assegni, sulle cambiali, sulle ricevute, sulle patenti, sui passaporti, ecc.ecc.ecc...?
Burocrazie "inventa-costi" che non pagano nemmeno se stesse! Perché per riscuotere dopo anni, un nostro sacrosato credito d'Iva., siamo costretti, colmo della beffa, a spendere fior di milioni in assicurazioni? L'imprenditore diventa servo della burocrazia, abbruttito da sevizie continue. Ma insomma che è che ci rappresenta? Sono degli extraterrestri?

Ma le associazioni di categoria fan capo a personaggi di spicco consigliati da economisti di fama europea?
E allora che si battano strenuamente perché la nostra tassazione sia equipollente a quella dei nostri partner europei, con i quali dobbiamo convivere in un regime di libera concorrenza.
Che si battano perché l'operaio venga dato tutto lo stipendio e non metà del suo costo! Che si battano per tirare lo sciacquone sui costi di una burocrazia frustrante e inutile. E battersi non vuol dire starnutire. O vivere in Europa vuol dire solo ricevere calci sul sedere dai partner perchè stufi di darci credibilità? Sono ormai decenni che si è provveduto a distruggere l'immagine dell'impresa, e questo è stato possibile solo perché chi ci rappresenta è stato più connivente al sistema che feroce oppositore. Un timido passo avanti per fingere di osare e due indietro per prudenza. Noi popolo imprenditoriale"bue" abbiamo il costo del denaro più alto del mondo; vorremmo proprio conoscere cosa pagano di interesse le operazioni finanziarie della grande nomenklatura imprenditoriale. Ma il vorremmo rimanere pur sempre un'utopia, poiché non esiste trasparenza, e le associazioni territoriali che avrebbero la forza per pretenderla, sono le prime a fare bilanci ambigui, fatti approvare per alzata di mano, senza che gli associati li abbiano mai visti, spendendo e sperperando in iniziative improduttive. 
Un quarto di quello che incassano va a vantaggio dell'associato, il resto è tutto bluff operativo.

C'è una gran voglia di aria fresca e nuova. Ma c'è anche paura della novità. Giusto?
Gli imprenditori sono abituati a viaggiare, a spostarisi all'estero e a confrontarsi. Il più delle volte, salvo nel terzo mondo, si accorgono che i nostri problemi là sono stati in gran parte risolti: ciò è frustrante.
La novità non deve far paura, poichè basterebbe umilmente e spudoratamente copiare, dove hanno insegnato e professato le leggi del libero mercato, senza impastoiarle ipocritamente con le diseconomie del socialismo reale.

C'è qualcosa che ci fa sperare in un futuro più sereno ed ottimista?
Si, il coraggio degli imprenditori e dei loro operai, degli artigiani, dei professionisti, dei giudici non politicizzati, della gente che ha imparato a sostenersi sulle proprie gambe confrontandosi giorno dopo giorno con la propria intraprendenza e operosità, abituati a non pesare sulla nostra economia ma a portar pesi.
E' il coraggio di un popolo che ha detto basta e poi basta a tutto ciò che è in odor di partitocrazie.
Anche fra gli Imprenditori che producono c'è gran voglia di pulizia e facce nuove.

giovedì 22 agosto 2013

1993: intervista con Giorgio Panto

Sono passati vent'anni dal rilascio di questa intervista da parte di Giorgio Panto, noto imprenditore trevigiano e fondatore del partito "Progetto Nordest". Le parole sono sorprendentemente attuali e a leggerle suscitano una forte rabbia pensando a quanto tempo ha perso il nostro Paese. Se consideriamo che i problemi che aveva individuato Panto allora, ad oggi sono rimasti immutati se non amplificati dalla immobilità di una classe politica miope e inetta, a cui le Organizzazioni Imprenditoriali hanno dato carta bianca e ampia delega sul futuro di sviluppo del Paese, con i risultati disastrosi attuali, la rabbia e il rammarico sono sentimenti fin troppo benevoli.
Eccovi un piccolo stralcio.

                                                                                                           Maggio 1993

Intervista con Giorgio Panto   



Cosa pensa sia importante ora per l'impresa Italia?
Penso, che i tempi siano maturi perché imprenditori e dipendenti capiscano che gli interessi sono comuni e che la via da percorrere è a senso unico per entrambi.
Le demagogie sono crollate e i posti di lavoro non si costruiscono forzosamente e artificiosamente, [...] si creano con coraggio e abnegazione imprenditoriale da una parte e con produttività e intelligenza dall'altra.

Perché ha attaccato le associazioni territoriali?
Perché sono rappresentate da personaggi di comodo, senza coraggio e carisma, imbellettati di solo propositività spicciola, legati a connivenze reazionarie e ininfluenti sugli accadimenti economici, ciarlieri e sprecadenaro, incollate su poltrone saporifere

Ma le associazioni hanno sempre avuto a capo personaggi di spicco?
Si purtroppo lo so, ma è proprio la grande nomenclatura industriale che è alla base della nostra economia malata e del nostro debito pubblico. Non ha mai avuto la forza e lo spessore morale di opporsi allo sfascio della cultura economica degli anni settanta, alla miopia e ingordigia politica. Le dirigenze delle associazioni territoriali, perlopiù, sono automi seduti che alzano le mani solo per incensarsi. E questo per loro è già gratificante. Mi sembra che, da parte loro, in decenni non sia mai stata sviluppata un'iniziativa volta a cambiare rotta: intendo iniziative che avessero l'incisività di una cannonata e non solo il suono di trombette di carnevale.

Tratto da "Pensiero Libero" Ed. Zanetti 2007

martedì 6 agosto 2013

LE BANCHE, LO STATO E GLI IMPRENDITORI COME GLI EBREI NEL GHETTO DI VARSAVIA


 Abbiamo lo Stato che non paga i suoi fornitori per uno o due anni e non succede niente. Le banche fanno operazioni sbagliate che costano ai loro clienti milioni di euro e non succede niente. Un imprenditore ritarda di qualche giorno un pagamento a mezzo assegno e si trova segnalato come cattivo pagatore in tutta Europa per cinque anni, anche dopo che ha pagato.
Si possono fare tante considerazioni ma è evidente che i semplici cittadini per un protesto di pochi euro, magari saldato, sono segnalati con il “fiocco giallo”, esattamente come i nazisti facevano con gli ebrei nel ghetto di Varsavia.
Il messaggio che viene dato al popolino è chiaro: “se le banche vi calpestano non lamentatevi, non alzate la voce perché le istituzioni deviate vi possono trattare come un criminale”.
Vale ricordare le parole di un partigiano che ricordando il comportamento dei fascisti, diceva: “Sono venuti a prendere il vicino e ho fatto finta di non vedere. Sono venuti a prendere il mio dirimpettaio e mi sono girato dall'altra parte. Quando sono venuti a prendere me, non c'era più nessuno a difendermi”.
Se non vogliamo fare la fine degli oppositori del regime fascista o degli ebrei sotto i nazisti, noi piccoli imprenditori e più in generale noi cittadini onesti, dobbiamo organizzare l'autodifesa nei confronti di questo stato gestito da parassiti, che ci stanno facendo morire dissanguati e umiliati.

 Vogliamo esprimere la nostra solidarietà e vicinanza a tutte le imprese vittime del sistema bancario e le invitiamo ad unirsi a noi che stiamo organizzando una opposizione NON VIOLENTA, ma comunque decisa,  contro chi sta’ portando il nostro paese alla rovina e fra questi, in prima fila, le banche.


                                                                                     Il Presidente
                                                                          SOS ECONOMIA ITALIA
                                                                                  - Aladino Lorin -


domenica 21 luglio 2013

Ecco come la Germania sta comprando la Grecia


La Germania (non solo lei) sta acquistando la Grecia, che da tempo è in svendita. I tedeschi tra l'altro hanno concesso anche prestiti al paese ellenico, incassandone gli interessi. E rifiutano di pagare i risarcimenti che spetterebbero alla Grecia sin dal dopoguerra per le atrocità commesse dai nazisti: 70 miliardi di euro che al paese ellenico farebbero un gran comodo...


Da ieri, tutte le operazioni finanziarie elleniche sono gestite dall'istituto tedesco Kfw, il "braccio armato" di Deutsche Bank


«Questi qui si stanno comprando tutta la Grecia» sentenzia un tassista fuori dall'Hotel Hilton di Atene. La visita del super ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble è appena terminata, ma la sensazione diffusa è che sia stata più una presenza per addolcire l'amara cicuta che altro.
Alla vigilia dell'ennesima tranche di prestiti da 2,5 miliardi che la troika dovrebbe sbloccare per agosto, la notizia vera non è l'ennesimo buco nell'erario ateniese (mancati introiti per 1,6 miliardi dal gennaio ad oggi) ma il tentativo di Berlino di occupare finanziariamente il Paese. Mentre tutti sono impegnati a discutere del licenziamento di 25mila dipendenti pubblici che non muta di una virgola lo scenario apocalittico dei conti greci, Berlino ha deciso di impiantarsi in Grecia «conquistandola» definitivamente.

Da oggi tutte le operazioni finanziarie (investimenti, fondi alle piccole e medie imprese, infrastrutture) saranno gestite direttamente dall'istituto tedesco Kfw, il braccio armato di Deutsche Bank. La Kreditanstalt für Wiederaufbau (KfW) non è una banca scelta a caso. Si tratta dell'Istituto di Credito per la Ricostruzione, creato nel 1948, dopo la Seconda guerra mondiale, nell'ambito del Piano Marshall. Dopo la caduta della cortina di ferro, ha avuto un'impennata precisa con risvolti geopolitici rilevanti, finanziando la Germania Est con fondi europei. Schaeuble, incontrando due giorni fa ad Atene armatori, banchieri, manager e intermediari finanziari, ha chiarito come il suo Paese intenda il rapporto tra creditore e debitore: la Kfw lavorerà in cabina di regia con il Fondo di sviluppo greco-tedesco, che investirà nei piani aziendali, in particolare nelle piccole e medie imprese greche assolutamente carenti di liquidità. Ma lo farà tramite uno strumento di influenza economica internazionale dello Stato tedesco. Sarà il big brother con cui la Germania seguirà materialmente ogni singolo euro che si sposterà per e sul territorio ellenico.

Ma soprattutto, è la vulgata che circola tra i maggiori commentatori dopo che l'aereo di Stato tedesco trasportava il potente ministro verso il G20 di Mosca, garantirà Deutsche Bank (e anche Bundesbank) che nessuno faccia scherzi in Grecia, come una crisi di governo e la conseguenza ridefinizione del memorandum: in quel caso i due istituti perderebbero miliardi di mancati interessi sul maxiprestito.

Ma non è tutto, perché una serie di fondi internazionali (tedeschi in testa) hanno predisposto un protocollo di proposte da sottoporre alle banche greche: per ogni cento euro di prestiti «scaduti» (considerata l'altissima insolvenza dei cittadini che avevano acceso un mutuo o che avevano chiesto un finanziamento) il fondo ne mette sul tavolo trenta per comprare quel prestito. E un attimo dopo, quando il debitore non sarà in grado di onorarlo come faranno il prossimo 1 gennaio centocinquantamila cittadini greci secondo l'Istituto di statistica ellenico, si porteranno a casa resort nei paradisi delle Cicladi, prestigiosi immobili nel centro di Atene, sedi di industria e attività commerciali. Proseguendo di fatto in un'occupazione che, al netto di larghe intese o di flebili ingerenze dell'Ue, si sta compiendo.

A ciò si aggiunga un fatto preciso che Berlino non intende accettare: il risarcimento tedesco dei danni perpetrati alla Grecia durante l'occupazione nazista. Hitler invase la Grecia nell'Aprile 1941, saccheggiandola e devastandola in lungo e in largo. Secondo i dati della Croce Rossa Internazionale tra il '41 e il '43 furono almeno 300.000 cittadini greci a morire letteralmente di fame. Ma Germania Italia, oltre a pretendere cifre elevatissime per le spese militari, ottennero forzatamente dalla Grecia anche quello che venne definito un prestito d'occupazione, consistente in 3,5 miliardi di dollari. Lo stesso Fuhrer riconobbe in quella circostanza il valore legale del prestito e avallò il risarcimento. Ma alla Conferenza di Parigi nel 1946 ne riconobbe solo la metà. E così mentre l'Italia ripagò la propria parte del prestito, la Germania si rifiutò. Oggi quella cifra, al netto di interessi, ammonta a 163 miliardi. Più della metà del debito pubblico del Paese.


Fonte: ilgiornale.it