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lunedì 25 giugno 2012

L’ambiguità della libertà politica: l’esempio del Cile

di Michele Silenzi

"l’inadeguatezza della disamina del ruolo della libertà politica, che in determinate circostanze può favorire le libertà economiche e civili, mentre in altri casi, al contrario, può soffocarle."

Come spesso capita, mi sembra che qui Friedman tocchi un punto estremamente attuale. Ritenere la libertà politica il punto di partenza per ogni possibile libertà civica ed economica è una gigantesca fanfaronata occidentale (europea in particolare). Non è un teorema sempre esatto che dalla libertà politica cadano sempre a pioggia tutte le altre. La libertà politica, nelle sue esasperazioni, può essere una struttura gravemente paralizzante.
L’ambiguità della libertà politica consiste nel dovere costantemente tentare di soddisfare tutte le parti presenti al contenzioso (è bene ricordare che noi siamo, rinomatamente, il Paese della concertazione totale). Per dovere venire incontro alle legittime rivendicazioni di diritti (e privilegi) delle varie parti, si rischia di perdere completamente di vista quello che è il vero interesse dei singoli ovvero, molto semplicemente, la libertà economica di ciascun individuo. Questa libertà viene costantemente bersagliata ed imbrigliata da un numero crescente di  cavilli, leggi e leggine create per soddisfare i singoli interessi di parte da un governo centrale gonfiato a dismisura dai vari attori di una parossistica libertà politica.
Nel disperato tentativo di preservare una libertà politica che ormai diventa simile al titano Crono che divora i suoi stessi figli, la libertà economica viene a trovarsi pericolosamente a rischio. Mi sembra sia proprio quello a cui stiamo assistendo da un certo tempo in Italia.
Cercherò di spiegarmi meglio attraverso un esempio storico. Il golpe di Pinochet in Cile nel 1973 era arrivato a seguito delle politiche promosse dal governo socialista di Salvador Allende che avevano generato una terribile stagflazione (bassa crescita ed iper-inflazione al 700% annuo). La dittatura di Pinochet coincise con una forte ripresa sul piano economico dovuta alle politiche liberiste dei cosiddetti Chicago Boys (giovani economisti cileni specializzati alla corte di Milton Friedman): tra gli altri ricordiamo Jorge Cauas e Sergio de Castro (ministri della finanze 1975-82), Miguel Kast ministro del lavoro ed in seguito governatore della banca centrale e Jose Pinera (che però aveva studiato ad Harvard) a cui si deve la creazione del sistema privato di previdenza sociale in Cile divenuto un modello per tanti altri Paesi nel mondo.
Questi uomini giovani e talentuosi, non appena compiute le riforme necessarie per restituire dignità economica e quindi civica al Cile, lasciarono i loro incarichi per impegnarsi a ridare al Paese ciò che a quel punto mancava: la libertà politica. La strutturale riforma economica (che era essenzialmente una riforma sociale) non poteva essere senza intoppi come quello della grave crisi bancaria del 1982 dovuta principalmente al peg del Pesos cileno con il Dollaro. Però, grazie a queste riforme, entro il 1990 il Paese recuperò il gap che le politiche di Allende avevano scavato con gli altri paesi del Sud America per poi ampiamente superarli in termini di reddito pro capite. Nello stesso 1990, grazie ad un referendum contro Pinochet, il Cile recuperò anche la sua libertà politica.
Questo sommario racconto dell’esperienza cilena non vuole essere un elogio della sospensione delle libertà democratiche ma un invito a non lasciare che gli individui e loro libertà civiche ed economiche vengano soffocati da una parossistica libertà politica che in Europa (ed in Italia in particolare) sembra diventato un gigantesco Moloch forgiato da sempre più intricate maglie burocratiche che paralizza l’agire umano.
Recuperare la forza di volontà individuale, riuscire a pensare oltre uno stato macroscopico ed invadente a cui si deve prestare un indiscutibile ossequio è necessario per rinnovare e rilanciare la dignità di un’arte di governare che ricerca solo il soddisfacimento del proprio infinito (e quindi inconcludente) pluralismo che sempre di più diventa un intralcio alla libera determinazione di sé ed al perseguimento della libertà economica. Quando i diritti sono troppi iniziano a mutarsi in una gabbia di doveri.