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giovedì 26 giugno 2014

IL JOB ACT RISCHIA DI ESSERE UNA NUOVA SCATOLA VUOTA

Su richiesta di una senatrice del M5S facente parte della Commissione Lavoro, SOS ECONOMIA ITALIA tramite il suo Presidente Aladino Lorin ha espresso un parere scritto sul provvedimento conosciuto come 'Job Act'.
Riportiamo di seguito il nostro parere:



OSSERVAZIONI GENERALI SULLA LEGGE DELEGA N°1428

Trattasi di legge delega, quindi prevede l’individuazione di principi e criteri da trasmettere in delega al Governo, che interverrà con lo strumento del DDL per l’adozione di provvedimenti in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino dei rapporti di lavoro e di sostegno alla maternità e alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
Il disegno di legge si compone di due capi e sei articoli, che individua linee guidi sugli aspetti della tematica del lavoro, con un occhio di riguardo agli oneri finanziari a carico della Pubblica Amministrazione.
Infatti l’articolo 6 al comma 3 riporta che le deleghe esercitate, tramite i DDL, dovranno obbligatoriamente avvenire con invarianza di oneri finanziari, quindi senza nessun nuovo capitolo di finanziamento.
Quindi nessuna nuova risorsa sul tema del lavoro, anzi.
E’ previsto una razionalizzazione dei contributi ordinari (leggasi tagli) e la rimodulazione dei suddetti contributi fra gli attuali utilizzatori (enti/agenzie)
In sintesi il disegno di legge si prefigge, tramite lo strumento della delega, di ridurre i capitoli di spesa in onere allo Stato, sostituendolo con risorse in capo alle figure terze (imprese e lavoratori) utilizzando altri strumenti (ferie, banca ore, ecc.)
Ossia, una riduzione del Welfare State sostituito da strumenti a carico di imprese e lavoratori, quindi minori risorse investite sugli ammortizzatori sociali, con coinvolgimento degli espulsi dal mondo del lavoro come parte attiva alle forme di sostentamento; significa spostare una parte del costo degli ammortizzatori sociali su chi rimane senza lavoro.
Parafrasando un vecchio proverbio, viene da dire; “aiutati che il governo ti aiuta”.
Una ulteriore riduzione della spesa sociale camuffata sapientemente, attraverso una legge sul lavoro (job act), che negli annunci del governo invece favoriscono, tutelano e creano occupazione.
Il governo attraverso la legge delega, esautorerà il parlamento in materia di Welfare, proseguendo nella politica di ulteriori tagli della spesa sociale iniziata dai due precedenti governi, senza correre il pericolo della discussione parlamentare, li dove Parlamento si avvia mestamente a divenire il soggetto di sola ratifica della volontà del governo (il governo non è espressione diretta della volontà popolare)
Si ha l’impressione che anche questa riforma , come le altre in cantiere, siano destinate ad intervenire li dove si può eliminare la volontà popolare.
Quanto esposto fino ad ora è riscontrabile nella relazione positiva da parte della Ragioneria dello Stato, che certifica l’assenza di nuovi e maggiori oneri per la finanza pubblica.

Nel merito

OSSERVAZIONI SULLA LEGGE DELEGA PER UNA NUOVA DISCIPLINA DEL MONDO DEL LAVORO

La legge delega parla essenzialmente di: 
1- Riordino della disciplina degli ammortizzatori sociali;
2- Riforma dei servizi per il lavoro e le politiche attive;
3- Semplificazione delle procedure e degli adempimenti in materia del lavori;
4- Riordino delle forme contrattuali vigenti;
5- Rafforzamento delle misure a favore della maternità o genitorialità nella compatibilità con i tempi di lavoro;

In merito all'articolo uno, credo che sia concettualmente sbagliato aumentare gi oneri a carico delle imprese. Qualsiasi aggravio (maggiore compartecipazione ai costi da parte delle imprese utilizzatrici) per le imprese si traduce automaticamente in una minore competitività delle aziende sui mercati. 
Con la crisi in atto pensare di creare ulteriori aggravi vuol dire allargare la fossa nella quale le imprese sono desinate a cadere. Bisogna ricordare che la morte di un’azienda corrisponde alla perdita di posti di lavoro. Se questa è la filosofia per risolvere i problemi del lavoro credo che non abbiamo capito assolutamente niente.

In merito all’articolo due, ma la cosa ha valenza generale, voglio far notare che: rivedere le norme, studiare incentivi per le assunzioni, razionalizzarli, riorganizzare le agenzie per il collocamento, valorizzare il sistema informativo e informatico, sono cose utili ma solo nella misura in cui si realizza una diminuzione dei costi della burocrazia a vantaggio delle imprese. Se non c’è lavoro perché la competitività rimane bassa non creiamo nemmeno un solo posto di lavoro. 
Fin tanto che per motivi, elettoralistici e demagogici diamo un contributo sul salario ai dipendenti e non diamo una lira alle imprese riducendone il carico fiscale non creiamo nuovi posti di lavoro. Il lavoratore potrebbe anche incrementare i consumi, comunque andrà a consumare prodotti di aziende competitive, che in questo momento non sono certo le imprese italiane. Sulla questione della creazione dell’Agenzia Nazionale per l’Occupazione sotto il Ministero del Lavoro, da l’impressione di voler togliere la libertà di spesa periferica, concentrando il centro di spesa in capo al ministero (Governo), dove è più facile controllare e razionalizzare la spesa (leggasi tagliare)

Relativamente all’articolo tre
Quando parliamo di “semplificare mediante norme di carattere interpretativo le disposizioni interessate da rilevanti contrasti interpretativi giurisdizionali e …” vuol dire che partiamo con il piede sbagliato, perché ciò sottintende che andremo ad aggiungere altre disposizioni in aggiunta alla quantità sproporzionata gia in essere.
Bisogna invece pensare di abrogare le numerosissime e farraginose leggi e normative vigenti e sostituirle con poche nuove leggi, scritte in maniera chiara di facile interpretazione e soprattutto di semplice applicazione.
Se si parte dal presupposto che spostando gli adempimenti delle comunicazioni dall’ambito privato a quello pubblico, si parte con il piede sbagliato, perché per semplificare la prima preoccupazione dovrà essere la riduzione degli adempimenti oltre che alla loro automatizzazione. Se si riduce l’aggravio al privato e lo si sposta al pubblico, non si semplifica nulla e i costi rimangono inalterati. Teniamo bene a mente che il pubblico è pagato dal privato e quindi alla fine l’onere ritorna sempre a carico del cittadino.
Se informatizzo le comunicazioni non ho semplificato, ma al massimo avrò risparmiato un po’ di carta. Per semplificare bisogna ridurre gi adempimenti.
Se tolgo sanzioni e invento premi sempre per gli stessi adempimenti non ho semplificato, se accetto che l’errore formale non è grave non ho semplificato. Per semplificare si dovrà preoccuparsi di predisporre una normativa semplice di facile applicazione con meno passaggi, dove la priorità è ridurre le complicazioni, così facendo naturalmente, si ridurrà i rischi di errori formali. (da porre l’attenzione che la semplificazioni non significhi il taglio dei diritti dei lavoratori)

In merito all’articolo quattro, dobbiamo constatare un interessante esordio quando si dice: cerchiamo di scoprire quanti e quali sono le varie tipologie di contratto esistenti e si prosegue ancor meglio quando si dice che bisogna procedere alla redazione di un testo organico di disciplina delle tipologie contrattuali. Qui però ci si ferma e si torna al vecchio, qui cade l’asino, perché non si parla di ridurre le tipologie. Si va peggiorando quando si parla di ulteriori tipologie contrattuali anche se queste sono tese a favorire l’inserimento nel mondo del lavoro. Ripeto non è con nuove disposizioni o con il proliferare di nuove tipologie contrattuali che si crea lavoro. Così si complica la vita al lavoratore a al datore di lavoro. Questo può far piacere ai burocrati e al sindacato che in queste cose ci sguazza e di queste cose ci vive, ma certamente non fa bene alle imprese che di questo soffocano e sottopone il lavoratore al rischio di mancanza di diritti. Vediamo invece se sia possibile predisporre poche anzi pochissime tipologie contrattuali all’interno delle quali sia possibile disciplinare semplicemente l’intero comparto lavorativo.

Bene l’articolo 5, tutto condivisibile.

In merito all’articolo sei, come già detto nelle osservazioni generali, determina che gli iter normativi dovranno essere adottati con riferimento alla procedura in base alla quale sarà garantita l’assenza di nuovi o di maggiori oneri per la finanza pubblica.

In conclusione

Credo che affrontare le problematiche di cui sopra possa essere utile nella misura in cui si sfoltiscono le troppe norme vigenti e si razionalizza rispetto la necessità di garantire il lavoratore. Garantire va bene ma non con garanzie a senso unico. Anche aggiornare le prestazioni dello stato sociale alle esigenze moderne è positivo.
In queste norme speravo di trovarci qualcosa di finalizzato all'incremento dell'occupazione. Prendo atto che a questo proposito non c'è niente!. 
È evidente che ci troviamo di fronte ad una assoluta insensibilità verso il mondo imprenditoriale, la politica si preoccupa di normare ancora il lavoro i e i lavoratori, ma guai a ridurre i costi dello Stato e trasferire risorse al mondo del lavoro. Qui si vogliono fare le nozze con i fichi secchi, ma forse anche peggio. É la solita iniziativa gattopardesca dove si vuole dare l’ impressione di cambiare tutto per non cambiare niente. L'illusione di avere politici nuovi dinamici con grandi idee di riforme lascia il posto alla delusione. Restiamo nella disperazione.
Il problema di fondo oggi, resta l’alto costo del lavoro e i problemi che derivano alle imprese per i contributi non versati per colpa della crisi e quindi le conseguenze derivanti dalla modalità di riscossione poste in essere (Equitalia) che di fatto, mette le imprese fuori gioco e con loro i dipendenti. E’ successo troppo spesso e a volte con conseguenze drammatiche.
Ribadisco il concetto che “NON CI PUO' ESSERE LAVORO SENZA IMPRESA”. Se non c'è rilancio dell'impresa, che in Italia vuol dire quasi sempre piccola impresa, non ci sarà lavoro e incremento dell'occupazione. Pertanto la nostra proposta è semplice: regolamentiamo pure il lavoro e l'accesso al lavoro, ma se vogliamo fare nuova occupazione, creiamo prima le condizioni per la sopravvivenza e lo sviluppo dell'impresa.

Aladino Lorin
SoS Economia Italia

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