La Commissione Europea ha pubblicato lo scorso 14 ottobre il rapporto “Politica industriale: rafforzare la competitività”, che esamina in modo specifico i risultati dell’industria relativamente alla competitività nel mercato unico, oltre alle misure che gli stati membri hanno posto in essere per migliorarla. Il giudizio per l’Italia è piuttosto duro, in particolare per quanto riguarda il potenziale di crescita e il carico burocratico che le imprese italiane sono costrette a sopportare, il più gravoso tra i 27 paesi UE.
“Pur mantenendo una base industriale diversificata e per certi versi competitiva a livello globale, il potenziale complessivo di crescita dell’Italia è ragione di preoccupazione” annuncia la Commissione UE all’interno del dossier, realizzato dai servizi del commissario all’Industria Antonio Tajani. Gli ostacoli burocratici sembrano inoltre rappresentare un problema concreto: leggi, permessi e regolamenti sul lavoro obsoleti contribuiscono a rendere il sistema istituzionale italiano il più penalizzante per il business. In questo senso, il paese più favorevole è stato individuato nella Finlandia.
L’Italia si caratterizza inoltre per la scarsa produttività nel lavoro, seppur di non molto inferiore alla media, e si posiziona tra i paesi che possiedono tecnologie meno avanzate assieme a Grecia e Portogallo: a malapena il 55% delle imprese viene definito “innovativo”, contro l’80% della Germania.
Tutti fattori che minano il vantaggio competitivo delle nostre imprese rispetto a quelle degli altri Paesi UE. In particolare se si considera che nel contesto europeo si registra una timida e piuttosto fragile ripresa generale e il sistema economico risulta caratterizzato da un certo pessimismo che pone l’Europa a rischio di una flessione della crescita.
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