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mercoledì 27 giugno 2018

Gli Analfabeti Sociali della Sinistra



Il PD pensa che uno dei problemi dell'Italia sia "l'analfabetismo funzionale".
Un analfabeta funzionale ha difficoltà a comprendere il significato di un testo, di un articolo, di un ragionamento articolato.
Purtroppo per il PD, essere analfabeti funzionali non significa essere incapaci di comprendere la realtà.
Una città dove le attività commerciali languono o chiudono non richiede l'intelligenza funzionale per essere compresa.
Il problema non è l'analfabeta funzionale che non sa leggere le statistiche (taroccate) del Governo sulla ripresa economica, ma la classe politica che pensa che imbellettare le cifre possa modificare la realtà.
Un Paese stipato di persone senza né arte né parte, senza condivisione culturale, senza occupazione se non irregolare quando non illecita, capaci di portare al degrado intere aree, non necessita di un'alta funzione intellettuale per essere valutato.
Per la puzza di piscio, per i roghi abusivi, per le macellazioni per strada, basta avere il naso.
Per vedere le baraccopoli, gli abusivi, lo spaccio davanti a tutti, la prostituzione ad ogni angolo, i gruppi di nullafacenti fermi ai bar, basta avere gli occhi.
Il PD pretendeva di confutare la realtà sensoriale con le affermazioni di principio, meglio se provenienti da personaggi alti e ieratici, rialzati dalla loro granitica superiorità etica.
E così per la giustizia a singhiozzo, per la pubblica amministrazione folle, per l'Europa indifferente, per la realtà internazionale vissuta a senso unico, per mille altri argomenti sviluppati nel modo da distanziarsi quanto più possibile dal comun sentire.
La sinistra ha un problema con la realtà e questo problema è diventato evidente col problema dei migranti.
Fintantoché si discuteva di teorie economiche, di spesa pubblica, di norme giuridiche ispirate a questo o a quel principio, si finiva sempre in una situazione complessa e di non facile interpretazione per cui si poteva sempre trovare un punto che consentisse di darsi ragione.
Ma coi migranti gli effetti delle menzogne sono diventati evidenti, diffusi, riconosciuti da tutti.
L'ideologia ha avuto torto, ma il sinistrorso non può permettersi di mettere in dubbio una sua ideologia, finirebbe col dover dubitare di tutte.
E allora, non potendosi permettere di cambiare le sue idee bacate, la sinistra vorrebbe cambiare gli elettori, gli analfabeti funzionali, insomma.
Che dopo essersi sentiti descrivere come deficienti, dovrebbero farsi fare un lavaggio del cervello da quelli che sanno, e poi, gioiosamente, tornare a votare a sinistra.
Io analfabeta funzionale.
Tutti voi, analfabeti sociali.

Di Paolo Bardicchia

venerdì 4 maggio 2018

UN GOVERNO CI VUOLE

AHIME’, UN GOVERNO CI VUOLE

                                                                  di Roberto Pecchioli
A due mesi dalle elezioni politiche, lo stallo è totale. L’irresponsabile ircocervo Rosatellum sta rispondendo egregiamente al suo compito: impedire la formazione di un governo, poiché gli italiani hanno reso impossibile l’auspicato (dalle centrali di potere) accordo tra PD, Forza Italia e “responsabili” assortiti.
In queste settimane si assiste allo spettacolo inverecondo di forze politiche che discutono di tutto, fuorché dei problemi nazionali. Del resto, è arduo chiedere a chi ha appiccato il fuoco di trasformarsi in pompiere. Tra le stupidaggini più insulse che tocca ascoltare c’è quella secondo la quale non è un gran danno se manca un governo: il pilota automatico, la “governance” va avanti comunque, l’Unione Europea vigila e la Banca Centrale ci sorveglia discretamente. Persino le agenzie di rating, quelle che danno i voti agli Stati trasformati in scolaretti di macroeconomia liberista, sembrano indulgenti e non ci hanno ancora bocciato. La Spagna, il Belgio prima di noi, la stessa potente Germania hanno attraversato lunghi periodi di non governo senza risentirne troppo, dicono. Balle, alimentate da chi fa apertamente il tifo perché non vi siano governi ma solo consigli d’amministrazione dominati da patti di sindacato tra lorsignori, alle spalle dei popoli.
La verità è che un governo ci vuole, anzi è urgente. Lasciamo da parte i temi di politica internazionale: l’Italia è tristemente abituata a un ruolo da comparsa, buona tutt’al più per ospitare basi straniere, infrastrutture strategiche come il MUOS in Sicilia e pagare il conto a piè di lista. La guerra in Siria, gli scontri sul nucleare iraniano, il massacro dimenticato nello Yemen da parte degli amiconi sauditi poco importano al Bel Paese. Ma almeno sul versante economico e in politica interna è indispensabile un governo nella pienezza delle funzioni. Invece nulla, anche questo fa parte del declino italiano.
Nessuno decide che cosa fare dinanzi alla ripresa degli sbarchi di clandestini. La Marina continua ad agire come un traghetto della Tirrenia; i militari devono restare bagnini addetti al salvamento? Intanto, secondo il DEF (documento di economia e finanza) presentato con tante pagine bianche da Pier Carlo Padoan, ministro proconsole europeo, commissario ad acta delle oligarchie, la spesa per l’accoglienza – basta rovesciare le parole come un guanto e l’invasione diventa immigrazione e poi accoglienza- supererà nel 2018 i 5 miliardi, in ulteriore aumento sull’anno passato. I clandestini si possono espellere o dovremo mantenerli sine die, per la gioia di cooperative, Caritas ed approfittatori assortiti? Nessuna risposta, ovviamente.
L’incompetenza del ministero dell’istruzione ha portato alla situazione assurda per cui migliaia di insegnanti elementari di ruolo (!!!) potrebbero essere cacciati in massa in quanto non laureati. La signora Fedeli, ministro protempore forse a sua insaputa, non batte un colpo e si avvicina il licenziamento più massiccio della storia dell’impiego pubblico. Conseguenze drammatiche per gli interessati, ma anche un gigantesco impiccio per il prossimo anno scolastico. Congratulazioni.
Nell’ambito economico, le questioni sono ancora più complesse. Richiedono decisioni forti, rapide, interventi che cambino il corso di decenni. Tacciamo per carità di patria sul sistema bancario, la cui crisi è drammatica e molti dei cui responsabili sono in attesa di giudizio nei tribunali di mezza Italia. Non c’è un governo per prendere in mano la questione dei crediti inesigibili (NPL, non performing loans), una spada di Damocle sul sistema Italia. In due anni, la Banca Centrale ordinerà (gli ordini provengono soltanto dalle sacre “autorità monetarie”) che siano iscritte a passivo le somme assistite da garanzie, in otto anni le altre. Il sistema bancario ha i quattrini per far fronte o cercherà di far pagare Pantalone, magari attraverso la legge aurea detta bail in, ossia pagano depositanti, correntisti e obbligazionisti?
Nessuna autorità pubblica sta lavorando per fare fronte al momento in cui la BCE smetterà di creare dal nulla trilioni di euro al fine di evitare il peggio, né ci si interroga sul fatto evidente che l’enorme debito pubblico non può aritmeticamente essere ripagato, al di là delle valutazioni di merito sul criminale castello di menzogne che lo sostiene.
Là fuori, nel vasto mondo, c’è chi sta ponendo dazi e tariffe all’importazione. Donald Trump ha concesso un altro mese all’Europa, non sappiamo ancora se l’alluminio e l’acciaio pagheranno il 10 e il 25 per cento di imposta. E’ un grosso problema per la Germania, non per l’Italia, si tratta solo dello 0,2 per cento del nostro export, ma sono comunque milioni di euro. I nostri interessi sono del tutto privi di protezione, giacché i giochi, a livello europeo, li fanno la Germania, il nostro maggior competitore sul mercato manifatturiero, la Francia, che sta cercando di mangiarsi pezzi decisivi della nostra economia e la Gran Bretagna che, beata lei, è fuori dall’euro. Volpi a guardia del nostro pollaio. Persistono le sanzioni contro la Russia, quelle sì molto pregiudizievoli, ma si sa, Putin è il grande Satana: zitti e Mosca.
La tassazione complessiva sul lavoro (tasse più contributi) è al 47,7 per cento contro il 35,9 europeo. Desta meraviglia, se non legittimo orgoglio, che la manifattura italiana non sia ancora morta, in un quadro tanto fosco. Aumenta la povertà, tanto che non basta avere un lavoro stabile per esserne al riparo. Un italiano su otto è al di sotto della soglia statistica dell’indigenza, uno su quattro in Sicilia. Si allarga la forbice Nord Sud, che dà conto tra l’altro dell’enorme divario delle scelte elettorali, con il Nord che pretende meno tasse e il Sud attaccato al reddito di cittadinanza di Giggino ‘Amammà, il venditore di birra che volle farsi primo ministro.
L’Alitalia perde due milioni al giorno, ma il ministro Calenda gioca a rifare il Partito Democratico. Il debito pubblico aumenta senza posa nonostante il colossale avanzo primario, ovvero i soldi sottratti agli italiani per pagare interessi ai sedicenti debitori. L’aritmetica non è un’opinione e i banchieri che ci tengono in pugno lo sanno bene.  I giovani italiani possono però correre in bicicletta (tutta salute) per consegnare corrispondenza e cibo spazzatura a cinque euro lordi l’ora.
Altrove, alla Deutsche Bank, eseguono test per valutare l’impatto del crollo dell’euro, il che significa che lo ritengono possibile, mentre i dittatori bancari fanno sapere che, nel caso, i debiti del sistema Target 2 dovranno essere regolati in euro e non nelle nuove valute, in spregio alla nota lex monetae. E’ una menzogna spudorata, poiché il meccanismo registra transazioni già avvenute ed è una sorta di camera di compensazione tra debiti e crediti, ma questa è l’aria che tira.
Noi ci balocchiamo tra esternazioni di Di Maio, tweet del povero Martina, capricci dell’intramontabile Silvio e interviste di Matteo Renzi. Catone tuonava in Senato: mentre a Roma si discute, Sagunto è espugnata. Da noi è peggio, a meno di non prendere sul serio i riti stanchi del Quirinale con le inutili comparsate di mediocri attori non protagonisti nello studio alla vetrata. I fatti ci dimostrano che nessuno si occupa delle cose serie, di ciò che interessa le nostre vite. Una prova è l’assoluto silenzio rispetto agli aumenti dell’IVA. Non risulta che gli insigni statisti tricolori se ne stiano occupando.
Rinfreschiamo la memoria. Nel 2019, l’Iva agevolata passerà dal 10 all’ 11,5 per cento, per balzare al 13 l’anno seguente. L’aliquota normale salirà dal 22 al 24,5 per cento l’anno prossimo, poi al 24,9 nel 2020 per assestarsi al 25 nel 2021. La fattura a carico del sistema produttivo e delle famiglie sarà di 12, 4 miliardi nel 2019, di altri 19 nel 2020. Ciliegina sulla torta, una parte dell’imposta andrà a rimpinguare le casse di Bruxelles: sono le norme comunitarie, caro connazionale che non lo sai.
L’impatto sull’economia sarà devastante. L’esborso per la famiglia media è calcolato in 1.300 euro annui. In assenza di decisioni forti, due sole le vie per scongiurarlo: aumento delle tasse o nuovo taglio delle spese. Ma continuiamo a discutere del sesso degli angeli, come a Bisanzio all’arrivo dei turchi. Facciamo il tifo per Gigino, per l’uno o l’altro Matteo o per la vecchia gloria di Arcore. Intanto, il contatore gira, i fatti tornano a galla, l’Italia muore. Almeno fate un governo per limitare i danni, dare all’Italia un minimo di voce in capitolo. Oppure, ombre dolenti nella ghiaccia, come chiamò Dante i traditori di chi si era fidato, togliete il disturbo e consegnate definitivamente le chiavi di casa alla Troika, ai banchieri, al Fondo Monetario, al Meccanismo Europeo di Solidarietà. Fuori i servitori, dentro i padroni, ahimè.
ROBERTO PECCHIOLI

lunedì 12 marzo 2018

CI AVEVAMO CREDUTO

Dite la verità, lunedì 5 marzo leggendo i giornali o ascoltando le televisioni, avete pensato che qualcosa era cambiato. Finalmente!!!
I risultati usciti dalle urne erano dirompenti, chiari e precisi. Gli italiani con il voto avevano espresso chiaramente la loro disapprovazione per le politiche attuate dai governi dell'ultima legislatura e manifestato la volontà di cambiamento. Gli Italiani erano andati in tanti alle urne, pensando che finalmente avrebbero potuto esprimere la propria insofferenza sui governi "imposti" e sulle politiche attuate da questi.
Infatti hanno votato decisamente per quei soggetti che l'establishment definisce "populisti". Più di un italiano su due. Un risultato netto, chiaro, inequivocabile
Tutti noi ci siamo illusi,  per il breve tempo di pochi giorni, che qualcosa sarebbe cambiato.
Niente di tutto ciò! Nel breve arco di tempo di una settimana abbiamo capito che invece nulla è cambiato. Una legge elettorale vergognosa, volutamente concepita e firmata dal capo dello stato, di fatto ci consegna un nulla di fatto. L'ennesima legge elettorale che "ignora" la volontà popolare.
L'otto marzo u.s. in un discorso al Quirinale, il Presidente della Repubblica ha fatto appello alla responsabilità dei partiti, ma dov'era la sua nel momento in cui avvallava con la firma la promulgazione di questa schifezza! Ricordo che da Presidente della Consulta bocciò il "porcellum" per incostituzionalità, per poi da Presidente della Repubblica firmare per il "rosatellum".
Ma quelli più attenti alle dinamiche politiche, lo avevano capito fin da novembre scorso che questa nuova legge elettorale era stata ideata per per non dare nessun vincitore. Nel momento più basso del gradimento verso il leader della sinistra Renzi e del suo cerchio magico, sono corsi ai ripari con questa indegna legge elettorale. Con il contributo di Forza Italia di un "bollito" Berlusconi e della Lega di un poco avveduto Salvini, che forse mai avrebbe pensato all'ottimo risultato  ottenuto alle elezioni (almeno nei numeri).
Ed eccoci qui, punto e a capo, invischiati in un perfido meccanismo per il quale, nulla cambia e nulla muta.
Siamo sotto scacco dell'Unione Europea, delle volontà della Commissione più precisamente. Non sono infatti mancati i richiami alla responsabilità da parte dei vari commissari europei, che ci hanno ricordato per l'ennesima volta il nostro mostruoso debito pubblico, l'insostenibilità dei nostri conti pubblici e la necessità di nuovi interventi correttivi (tasse per i cittadini).
Con queste premesse, lo sbocco alla situazione venutasi a creare con il voto (io direi per colpa di una legge infame piuttosto) sarà inevitabilmente verso un governo di "responsbilità", o come meglio lo vorranno chiamare (del Presidente, di transizione, di scopo ecc.) Un governo di grandi intese, che avrà il compito di varare quelle misure economiche che la Commissione Europea ci chiederà da qui in avanti. 
I partiti cosa dicono? Tutti da destra a sinistra a gridare "non inciuci", dimenticandosi che gli ultimi governi si sono basati esclusivamente sugli inciuci; il PD con il sostegno di Alfano e Verdini (i due camerieri di Berlusconi). I vincitori delle elezioni (M5S e Lega) si facciano carico delle aspettative degli italiani, diano delle risposte sui temi reali, sulle necessità oggettive, fuori dalle logore logiche della politica e dei partiti. Abbiate coraggio! Ma dalle prime schermaglie ci avviamo a una fase di stallo, ognuno ancorato sulle proprie posizioni.
Cosa dire in conclusione di questa breve riflessione personale? Peccato!!! Ci avevamo creduto, avevamo sperato che si potesse cambiare rotta. Avevamo pensato che la volontà popolare fosse la base della democrazia, e che il rispetto della quale fosse il pilastro del nostro Paese.
Probabilmente ci aspetta la sostanziale fotocopia dell'ultima legislatura, cioè cinque anni da passare inutilmente a cercare di fare le riforme strutturali che il paese necessita, di fare politiche serie per il lavoro e a subire ulteriori nuove tassazioni.
Il Paese può ripartire solo sulla base di politiche serie sul lavoro, mettendo al centro l'impresa, luogo fisico per eccellenza dove creare ricchezza diffusa. Non c'è lavoro senza impresa.
Peccato, ci avevamo creduto...si ci siamo illusi nuovamente?

Aladino Lorin

martedì 9 gennaio 2018

Le nostre radici politiche poggiano su due pilastri irrinunciabili: la famiglia e l'imprenditoria diffusa.



Fra poco meno di due mesi andremo al voto per il rinnovo del parlamento italiano.
Dal voto del 4 marzo nascerà la classe politica che dovrà prendersi in carico di portare fuori, finalmente, il paese dal paltano della crisi economica del 2007.
Un compito non da poco, una responsabilità grande, un passaggio forse storico per il nostro paese.
Dopo anni bui, pervasi da difficoltà economiche, che ha visto il nostro paese arrancare tra crisi del sistema bancario, crisi del settore produttivo, crisi delle famiglie, crisi del sistema politico, ecc., è arrivato il momento di una ripartenza. Una ripartenza che ha lo scopo di porre le basi di un paese "nuovo", in grado di ritrovare stimoli e capacità che in questi anni sembrano essersi assopiti e smarriti. Un paese che nei secoli è stato in grado di esprimere eccellenze nei più svariati settori del "genio umano" e quindi dovrebbe avere nel suo dna le capacità di farlo ancora.
Un esempio per tutti, la ricostruzione del paese uscito devastato dalla seconda guerra mondiale. Lacerato e diviso profondamente nella popolazione da una guerra che è stata anche civile e sommerso di macerie ovunque conseguenza del conflitto mondiale.
Fu una crescita voluta caparbiamente dalle genti di allora, vogliose di riscatto da tanta povertà e miseria, corrisposta da una classe politica e dirigenziale capace di cogliere con responsabilità la drammaticità del momento, superando divisioni ideologiche e storiche a favore di un bene superiore; Il bene del Paese!
Fulgida e dirompente fu la ripartenza, che si basò su due pilastri irrinunciabili; la famiglia e l'imprenditoria diffusa. Su questi pilastri si costruirono le fortune economiche e di progresso del nostro Paese, portandoci verso la fine del secolo scorso ad essere tra le più grandi economie occidentali e mondiali. Il famoso Made in Italy, un brand invidiato e ammirato in tutto il mondo, costruito da persone eccezionali "forgiate" sulla base proprio di questi due pilastri. FAMIGLIA E IMPRESA! Dalle imprese familiari, dalle piccole botteghe a conduzione familiare, dai laboratori artigiani nacquero i più famosi brand italiani. Non solo un modello di crescita economica, ma il radicamento di valori come la famiglia, la sussidiarietà, il volontariato che hanno disegnato una nuova società più equa e più ricca.
Da circa un ventennio questi due pilastri si sono indeboliti e con loro la crescita del Paese. La perdita costante nel tempo dei nostri valori ha portato un indebolimento economico e a una crisi etico/morale diffusa.
Sarà un caso?
Resta il fatto che alla perdita delle nostre radici è corrisposto il declino del Paese. 
Trascinati da soggetti e fattori esterni, abbiamo soppiantato le nostre radici per abbracciare nuovi modelli di sviluppo dissonanti dai nostri valori, con gravi effetti di disagio sociale. Sul perché sia accaduto, qui si apre un capitolo che richiederebbe una analisi lunga e approfondita, fatta magari da persone più preparate nel merito del sottoscritto.
Torniamo alla partenza, però, cioè che fra poco meno di due mesi si andrà votare.
Una opportunità che dovrà essere colta con responsabilità e lungimiranza.
Ho ascoltato le proposte elettorali dei partiti in questi primi giorni di campagna elettorale; oddio!!!
Promesse elettorali tese a garantire di tutto e di più a tutti. Promesse vuote di contenuti concreti, senza capo ne coda, fuori dalla più normale logica economica.
Nessuna forza politica sembra aver colto la straordinarietà di questo momento, cioè l'opportunità di porre in essere un nuovo progetto economico/sociale lungimirante e ambizioso.
Tutte le forze politiche sono arroccate allo status quo del concetto assistenzialista del più Stato, ovvero dove la fiscalità pubblica interviene elargendo elemosine dove sono conclamate povertà e disagio. Ma in questo modo non si stimola la crescita, ne si incentivano i singoli a migliorare le proprie condizioni sociali, non si estinguono le sacche di disagio. Questo modello, dove è stato applicato, ha generato povertà, miseria e desertificazione di attività imprenditoriali, impoverendo tutti.  Questo modello porta a voler abituare le persone a vivere di elemosina di Stato ed ha due effetti dannosi; primo il progressivo intervento pubblico con il conseguente appesantimento del debito pubblico, già insostenibile. Secondo di fossilizzare le situazioni di disagio sociale e a suffragare questo ci sono più di centocinquant'anni di politiche assistenzialiste nel sud del Paese a dimostrarlo, dove a fronte di un dispendio enorme di risorse pubbliche non è corrisposto un miglioramento economico/sociale del meridione, anzi!
Possibile ci sia tutta questa miopia, oppure è tutto calcolato per l'interesse di una piccola fetta di popolazione beneficiaria dei privilegi di stato? Io propendo per la seconda ipotesi.
Infatti ad oggi la grande fermento è sulla composizione delle liste con la spartizione delle circoscrizioni più appetibili. Un vero calcio mercato della poltrona!!!
Spero che nel desolante panorama politico si affacci un nuovo soggetto politico in grado di superare queste logiche, avendo ben chiaro in testa un progetto lungimirante, talmente rivoluzionario da regalare un sogno per una società migliore a tutti noi. Una società basata sulle persone, una società che riscopra e fortifichi le nostre radici fatte di valori portanti, pilastri irrinunciabili; la famiglia e l'imprenditoria diffusa!!!

Aladino Lorin




martedì 6 settembre 2016

il rimedio è la povertà

Questo articolo apparve il 30 giugno 1974, ed è straordinario. Una meraviglia di stile e di pensiero di Goffredo Parise.

Questo è un articolo di Goffredo Parise tratto dalla rubrica che lo scrittore tenne sul “Corriere della sera” dal 1974 al 1975. Si trova nell'antologia "Dobbiamo disobbedire", a cura di Silvio Perrella, edita da Adelphi. Questo articolo apparve il 30 giugno 1974, ed è straordinario. Una meraviglia di stile e di pensiero di questo autore sicuramente libero e lontano da ogni appartenenza politica e salottiera. Rappresenta per noi oggi - media compresi che non ospitano più pezzi così controcorrente - uno schiaffo contro la nostra inerzia.

«Questa volta non risponderò ad personam, parlerò a tutti, in particolare però a quei lettori che mi hanno aspramente rimproverato due mie frasi: «I poveri hanno sempre ragione», scritta alcuni mesi fa, e quest’altra: «il rimedio è la povertà. Tornare indietro? Sì, tornare indietro», scritta nel mio ultimo articolo.

Per la prima volta hanno scritto che sono “un comunista”, per la seconda alcuni lettori di sinistra mi accusano di fare il gioco dei ricchi e se la prendono con me per il mio odio per i consumi. Dicono che anche le classi meno abbienti hanno il diritto di “consumare”.

Lettori, chiamiamoli così, di destra, usano la seguente logica: senza consumi non c’è produzione, senza produzione disoccupazione e disastro economico. Da una parte e dall’altra, per ragioni demagogiche o pseudo-economiche, tutti sono d’accordo nel dire che il consumo è benessere, e io rispondo loro con il titolo di questo articolo.

Il nostro paese si è abituato a credere di essere (non ad essere) troppo ricco. A tutti i livelli sociali, perché i consumi e gli sprechi livellano e le distinzioni sociali scompaiono, e così il senso più profondo e storico di “classe”. Noi non consumiamo soltanto, in modo ossessivo: noi ci comportiamo come degli affamati nevrotici che si gettano sul cibo (i consumi) in modo nauseante. Lo spettacolo dei ristoranti di massa (specie in provincia) è insopportabile. La quantità di cibo è enorme, altro che aumenti dei prezzi. La nostra “ideologia” nazionale, specialmente nel Nord, è fatta di capannoni pieni di gente che si getta sul cibo. La crisi? Dove si vede la crisi? Le botteghe di stracci (abbigliamento) rigurgitano, se la benzina aumentasse fino a mille lire tutti la comprerebbero ugualmente. Si farebbero scioperi per poter pagare la benzina. Tutti i nostri ideali sembrano concentrati nell’acquisto insensato di oggetti e di cibo. Si parla già di accaparrare cibo e vestiti. Questo è oggi la nostra ideologia. E ora veniamo alla povertà.



Povertà non è miseria, come credono i miei obiettori di sinistra. Povertà non è “comunismo”, come credono i miei rozzi obiettori di destra.



Povertà è una ideologia, politica ed economica. Povertà è godere di beni minimi e necessari, quali il cibo necessario e non superfluo, il vestiario necessario, la casa necessaria e non superflua. Povertà e necessità nazionale sono i mezzi pubblici di locomozione, necessaria è la salute delle proprie gambe per andare a piedi, superflua è l’automobile, le motociclette, le famose e cretinissime “barche”.

Povertà vuol dire, soprattutto, rendersi esattamente conto (anche in senso economico) di ciò che si compra, del rapporto tra la qualità e il prezzo: cioè saper scegliere bene e minuziosamente ciò che si compra perché necessario, conoscere la qualità, la materia di cui sono fatti gli oggetti necessari. Povertà vuol dire rifiutarsi di comprare robaccia, imbrogli, roba che non dura niente e non deve durare niente in omaggio alla sciocca legge della moda e del ricambio dei consumi per mantenere o aumentare la produzione.

Povertà è assaporare (non semplicemente ingurgitare in modo nevroticamente obbediente) un cibo: il pane, l’olio, il pomodoro, la pasta, il vino, che sono i prodotti del nostro paese; imparando a conoscere questi prodotti si impara anche a distinguere gli imbrogli e a protestare, a rifiutare. Povertà significa, insomma, educazione elementare delle cose che ci sono utili e anche dilettevoli alla vita. Moltissime persone non sanno più distinguere la lana dal nylon, il lino dal cotone, il vitello dal manzo, un cretino da un intelligente, un simpatico da un antipatico perché la nostra sola cultura è l’uniformità piatta e fantomatica dei volti e delle voci e del linguaggio televisivi. Tutto il nostro paese, che fu agricolo e artigiano (cioè colto), non sa più distinguere nulla, non ha educazione elementare delle cose perché non ha più povertà.

Il nostro paese compra e basta. Si fida in modo idiota di Carosello (vedi Carosello e poi vai a letto, è la nostra preghiera serale) e non dei propri occhi, della propria mente, del proprio palato, delle proprie mani e del proprio denaro. Il nostra paese è un solo grande mercato di nevrotici tutti uguali, poveri e ricchi, che comprano, comprano, senza conoscere nulla, e poi buttano via e poi ricomprano. Il denaro non è più uno strumento economico, necessario a comprare o a vendere cose utili alla vita, uno strumento da usare con parsimonia e avarizia. No, è qualcosa di astratto e di religioso al tempo stesso, un fine, una investitura, come dire: ho denaro, per comprare roba, come sono bravo, come è riuscita la mia vita, questo denaro deve aumentare, deve cascare dal cielo o dalle banche che fino a ieri lo prestavano in un vortice di mutui (un tempo chiamati debiti) che danno l’illusione della ricchezza e invece sono schiavitù. Il nostro paese è pieno di gente tutta contenta di contrarre debiti perché la lira si svaluta e dunque i debiti costeranno meno col passare degli anni.

Il nostro paese è un’enorme bottega di stracci non necessari (perché sono stracci che vanno di moda), costosissimi e obbligatori. Si mettano bene in testa gli obiettori di sinistra e di destra, gli “etichettati” che etichettano, e che mi scrivono in termini linguistici assolutamente identici, che lo stesso vale per le ideologie. Mai si è avuto tanto spreco di questa parola, ridotta per mancanza di azione ideologica non soltanto a pura fonia, a flatus vocis ma, anche quella, a oggetto di consumo superfluo.



I giovani “comprano” ideologia al mercato degli stracci ideologici così come comprano blue jeans al mercato degli stracci sociologici (cioè per obbligo, per dittatura sociale). I ragazzi non conoscono più niente, non conoscono la qualità delle cose necessarie alla vita perché i loro padri l’hanno voluta disprezzare nell’euforia del benessere. I ragazzi sanno che a una certa età (la loro) esistono obblighi sociali e ideologici a cui, naturalmente, è obbligo obbedire, non importa quale sia la loro “qualità”, la loro necessità reale, importa la loro diffusione. Ha ragione Pasolini quando parla di nuovo fascismo senza storia. Esiste, nel nauseante mercato del superfluo, anche lo snobismo ideologico e politico (c’è di tutto, vedi l’estremismo) che viene servito e pubblicizzato come l’élite, come la differenza e differenziazione dal mercato ideologico di massa rappresentato dai partiti tradizionali al governo e all’opposizione. L’obbligo mondano impone la boutique ideologica e politica, i gruppuscoli, queste cretinerie da Francia 1968, data di nascita del grand marché aux puces ideologico e politico di questi anni. Oggi, i più snob tra questi, sono dei criminali indifferenziati, poveri e disperati figli del consumo.



La povertà è il contrario di tutto questo: è conoscere le cose per necessità. So di cadere in eresia per la massa ovina dei consumatori di tutto dicendo che povertà è anche salute fisica ed espressione di se stessi e libertà e, in una parola, piacere estetico. Comprare un oggetto perché la qualità della sua materia, la sua forma nello spazio, ci emoziona.



Per le ideologie vale la stessa regola. Scegliere una ideologia perché è più bella (oltre che più “corretta”, come dice la linguistica del mercato degli stracci linguistici). Anzi, bella perché giusta e giusta perché conosciuta nella sua qualità reale. La divisa dell’Armata Rossa disegnata da Trotzky nel 1917, l’enorme cappotto di lana di pecora grigioverde, spesso come il feltro, con il berretto a punta e la rozza stella di panno rosso cucita a mano in fronte, non soltanto era giusta (allora) e rivoluzionaria e popolare, era anche bella come non lo è stata nessuna divisa militare sovietica. Perché era povera e necessaria. La povertà, infine, si cominci a impararlo, è un segno distintivo infinitamente più ricco, oggi, della ricchezza. Ma non mettiamola sul mercato anche quella, come i blue jeans con le pezze sul sedere che costano un sacco di soldi. Teniamola come un bene personale, una proprietà privata, appunto una ricchezza, un capitale: il solo capitale nazionale che ormai, ne sono profondamente convinto, salverà il nostro paese».




martedì 10 maggio 2016

Sviluppo del Paese

C’è oggi nel nostro Paese, in dimensioni decisamente maggiori rispetto agli altri paesi, una vera e propria emergenza educativa, sociale, culturale e occupazionale che riguarda i giovani e il loro futuro.
Lavoro, sapere e diritti devono tornare al centro delle scelte strategiche per restituire fiducia e futuro al Paese.
Fino ad oggi il nostro Paese non ha superato il gap negli investimenti in conoscenza che lo divide  dai paesi più sviluppati e non ha  realizzato riforme utili a innalzare i livelli di  conoscenza.
Si è così prodotto un epocale disinvestimento, economico e politico, nei sistemi di istruzione, formazione e ricerca che  accresce la divisione dei cittadini sulla base delle disponibilità economiche, dell’appartenenza sociale, culturale, etnica e territoriale.
In questo quadro i sistemi pubblici rischiano di assumere una funzione marginale: istruzione e formazione pubblica per coloro che non  possono permettersi percorsi di qualità a pagamento e ricercatori costretti a trovare occupazione all'estero.
Tutto ciò sta allontanando l’Italia da quei paesi che, con lungimiranza, considerano, invece, la conoscenza l’elemento su cui puntare per uscire dalla crisi.
E’ necessario arrestare questa china, aumentando gli investimenti in istruzione, formazione e ricerca, adeguandoli velocemente agli standard europei.  Il sapere è, infatti, volano decisivo per affermare un nuovo modello di sviluppo.
Siamo sottoposti a una sollecitazione conoscitiva inedita: la straordinaria crescita delle conoscenze e la velocità del loro continuo cambiamento implicano una profonda rivisitazione dei sistemi della conoscenza e una profonda riconversione dei sistemi produttivi.
Oggi, infatti, le prospettive di sviluppo si giocano sull’attivazione di un circolo virtuoso tra potenziamento della ricerca, innalzamento dei livelli di istruzione e formazione della popolazione, riposizionamento dei sistemi produttivi in direzione dell’innovazione, della qualità e della sostenibilità.  Istruzione, formazione e ricerca assumono un ruolo decisivo all’interno di un moderno concetto di cittadinanza e di programmazione economica e, in questa prospettiva, il lavoro riacquista senso, dignità e valore.
La conoscenza, in quanto bene comune, deve costituire la base del progetto di rinnovamento sociale e di ricostruzione democratica ed etica del nostro Paese.
Democrazia, partecipazione, rispetto della persona, delle differenze e comprensione dell’altro sono valori che vanno riaffermati e  trasmessi alle future generazioni, per costruire “un mondo migliore di quello che abbiamo trovato”.
Per questo occorre  ridefinire  finalità, ruolo e funzioni dei sistemi pubblici, attualizzandone la funzione sociale nell’ottica della costruzione di un nuovo modello di sviluppo fondato sulla solidarietà e giustizia e sulla sostenibilità ambientale.
Il ruolo delle istituzioni oggi deve giocarsi sul terreno della cittadinanza, sulla capacità cioè di formare persone in grado di governare la propria vita, educando ai valori condivisi,  alla legalità ed alla consapevolezza dei propri diritti.  E’ dunque compito prioritario dei processi educativi,  formare mentalità critiche capaci di risolvere problemi abituando  al dubbio, all'imprevisto, alla curiosità;  tutte cose indispensabili per vivere, lavorare, continuare a studiare.
Ne deriva che è necessario:
1.      sapere di più e meglio in ogni fase della vita;
2.     ripensare al sapere che serve;
3.     riorganizzare profondamente i percorsi di istruzione, formazione e ricerca ed i sistemi di valutazione ad essi collegati.
Il superamento di ogni forma di precarietà è presupposto per la reale garanzia della libertà con retribuzioni adeguate e la certezza dei diritti del lavoro.
La conoscenza è strumento fondamentale per la crescita personale,  il superamento delle disuguaglianze e  la qualificazione del modello di sviluppo del paese.
Ridare futuro, speranza e fiducia al paese  è la priorità.






martedì 8 marzo 2016

Capitalismo e Socialismo, due facce della stessa medaglia.

Il Capitalismo Sociale

 Carpe diem, cogli l'attimo. Si cogli l'attimo va sempre bene, ma qui il fatto é che non pensare al domani (avere degli obbiettivi futuri) accontentandosi del presente, riduce drasticamente l'agire in previsione dell'avvenire. Ecco che manca la spinta per costruire, per crescere. Il problema è che oggi l'uomo subisce una involuzione nella concezione del domani, subordinando il presente all'avvenire. È l'obiettivo futuro che da all'uomo la spinta per crescere. In assenza, godendo del solo presente, ci si accontenta e si subisce passivamente quello che la vita passa. Due visioni diverse, una pro attiva l'altra passiva. 

Stiamo diventando soggetti passivi nelle dinamiche delle cose. La società cresce e progredisce qualora i suoi membri siano soggetti attivi nelle dinamiche della crescita. Soggetti protagonisti, non pecore indirizzate da pastori e cani.

La tendenza odierna è uniformare i pensieri, le mode, gli atteggiamenti, questo al solo scopo di creare masse dei consumatori (io li chiamo utilizzatori) standardizzati, per cui sia facile indirizzare i consumi e i pensieri. In Economia come in Politica.
Quindi ecco farsi strada (per induzione) il pensiero unico nella vita quotidiana in tutti noi. Negli oggetti, nel pensiero politico e nell'economia. Chiunque sia fuori dai "canoni" è un diverso, un disadattato sociale. 
Ci troviamo davanti a una voluta distruzione dell'individualità dell'uomo, della capacità di ragionare secondo i propri canoni, soppiantati da quelli "indotti" una vera e propria "globalizzazione" dei canoni. Quindi non più l'uomo (il suo intelletto, il suo pensiero) al centro del progetto della società futura, ma la massa uniformata e standardizzata di persone epurate da ideologie, cultura e valori propri.
Sembra di vivere in un romanzo Orwelliano, dove un Essere supremo (multinazionali?) impartisce ordini e pensieri, facendoci credere che è nel nostro interesse (Il bene comune).
L'annientamento dell'individuo e la conseguente omologazione in un elemento della massa, frena prima e blocca poi, la capacità dell'uomo di essere pro attivo nella visione del futuro, che così si accontenta di quello che ci viene dato. 
L'iniziativa privata diffusa e la conseguente classe media nata da essa, sono sempre state i motori di miglioramento delle condizioni sociali, elevando i singoli verso traguardi sempre più alti, nella costante ricerca del miglioramento economico personale prima, della propria famiglia e quindi della propria comunità. Ecco che la ricerca del miglioramento ha portato innovamento e con esso ne ha guadagnato la società ove questo modello si è sviluppato, ossia l'occidente.
Ma proprio l'occidente è il carnefice di se stesso, alterando i valori propri dell'individualità imprenditoriale attraverso la spersonalizzazione delle imprese. Ecco che nascono le Holding, le Spa, i grandi gruppi che uccidono le imprese personali.
Una nuova forma di Capitalismo si sta affermando. Io lo l'ho definito "Capitalismo Sociale".
Il Socialismo e il Capitalismo si sono combattuti per quasi due secoli, ponendosi in contrapposizione uno dell'altro. Il bene comune contro il profitto, in una sorta di guerra tra il bene e il male, inteso a secondo della parte di appartenenza. Da queste visioni di mondo sono nati due blocchi economici/sociali, distinti e distanti. L'occidente capitalista, capeggiato dagli USA e l'oriente comunista capeggiato dall'URSS.
Sappiamo tutti della guerra fredda, la corsa degli armamenti, la corsa alla conquista dello spazio. Ma questa contrapposizione (una sorta di concorrenza tra blocchi) ha portato paradossalmente enormi benefici per l'occidente. La volontà di primeggiare, ha portato il modello occidentale più liberale (la supremazia dell'individuo) a livelli straordinaria di crescita in tutti i settori, culminata negli anni settanta/ottanta con l'abbattimento del muro di Berlino. Si il culmine e l'inizio del declino.
Il muro di Berlino, se da una parte ha reso libero l'oriente dalla schiavitù del Collettivismo comunista, ha fatalmente contagiato l'occidente con le ideologie socialiste.
Ecco che, nell'arco degli ultimi trentanni, si è imposto una forma ibrida di capitalismo, che porta in dote i geni dell'uno de dell'altro dei modelli economici; il "Capitalismo Sociale".
Sono convinto che nel mondo si stia affermando una nuova classe sociale che é frutto di un compromesso tra le vecchie classi sociali. Una nuova forma parassitaria, più evoluta, più resistente. Io lo chiamo " Il Capitalista Sociale". In Italia ne vediamo esempio nei nuovi ricchi, i vari Farinetti, Serra, Carrai e Casaleggio ecc.
Diventano ricchi su iniziativa privata, ma con capitali pubblici (i soldi dei privati). Ecco la nuova frontiera del business mondiale.
Lo abbiamo visto benissimo e lo paghiamo sulla nostra pelle tutti i giorni, nelle dinamiche della cosiddetta finanza creativa, che grazie all'operato delle Banche Centrali, sta drenando denaro privato (denaro vero) a copertura dei titoli carta straccia creati sui debiti, dalla finanza mondiale (denaro virtuale).
L'esproprio della ricchezza privata avviene nell'unico modo lecito possibile; le tasse.
Aumentare la spesa pubblica (tramite governi amici) aumenta conseguentemente il fabbisogno degli stati, che rinpinguano le casse chiedendo maggiore contribuzione ai propri cittadini (più tasse tasse). Il must ripetuto ossessivamente è se paghiamo le tasse, le tasse ci ripagano con i servizi. Ma abbiamo visto tutti, a nostre spese, che così non è.
Ecco dunque la nuova frontiera del business, fare i soldi espropriando la ricchezza privata; iniziativa privata (holding) ma soldi pubblici (cittadini). 
Ecco eliminato d'un botto il rischio d'impresa nel fare business.,quindi privatizzare il profitto e socializzare le perdite.
Peccato non esserci fra 50 anni per leggere cosa scriveranno i libri di storia di questo nostro periodo. 
Cosa resterà di questo frenetico periodo, dove sta venendo alla luce tutta la fragilità della nostra condizione umana, esaltando il peggio che alberga in noi. Paure, egoismi, disperazione, insicurezza, smarrimento, il senso di precarietà della nostra esistenza, in balia degli accadimenti della vita. Pur sapendo cosa ci accade, siamo incapaci di reagire e subiamo gli eventi invece di dominarli.
Quanti secoli di civiltà per creare un uomo così debole.