IL COMODO INGANNO
Federico Cartelli
scrive: “Lo” Stato non è un ‘creatore’ di ricchezza, bensì un suo ‘consumatore’.
La ricchezza viene creata dal settore privato, dagli investimenti produttivi, e
circola mediante i consumi e la spesa nei servizi”.
Concordo pienamente
con lui. Al di là di questa lucida affermazione, le ‘leggende’ che sentiamo
raccontare su altri e diversi sistemi di crescita e di sviluppo sono solo la comoda
scusante di chi con il pubblico ci campa e ci sguazza. Forse nel concetto, sbagliato,
che lo Stato siamo noi c'è anche un
peccato originale; lo Stato, il nostro Stato, si è rivelato essere l'insieme di una serie di
burocrati parassiti e dunque, per la proprietà transitiva, lo Stato è un parassita.
Il direttore dell'Inps ne è solo l’ultimo, fulgido esempio.
Ma è giusto ricercare
le colpe solo nelle azioni degli altri, dei vari direttori, nella selva di
burocrati di stato, senza passare da un doveroso esame di coscienza da parte
della classe imprenditoriale di questo paese?
Mi sono chiesto molte
volte quanti siano effettivamente gli imprenditori che possano definirsi tali,
come da definizione classica, dove chi "imprende" lo fa secondo
le regole del rischio di impresa.
Ma il male viene da
lontano, da quella fase storica della Milano
da bere, dove
nasceva una nuova classe politica fatta di leader rampanti, ammanicata e
spesso sovrapposta a imprenditori di pochi scrupoli.
Credo che negli
ultimi trent'anni gli imprenditori abbiano cercato prima, trovato, e
organizzato poi, una fitta rete fatta di inciuci. E questo è il nostro
problema, nel senso che oggi siamo in presenza di un rapporto incestuoso tra
mondo politico, mondo professionale e banche, un incesto che si esplica
attraverso una rete di amicizie, dove non si capisce bene chi sia il colluso e
chi il corruttore.
Ecco che nasce un
intreccio incestuoso tra politica, imprenditoria e sistema bancario che agisce
trasversalmente agli ideali politici del Novecento, nel nome supremo
dell'interesse personale degli appartenenti alla famiglia. Un intreccio
all'interno del quale, vanno rispettati
codici e comportamenti che, se trasgrediti, portano all'allontanamento e il
disconoscimento del trasgressore da parte del gotha della finanza nazionale, se
non internazionale, mettendolo fuori gioco.
Il caso più emblematico
è sicuramente quello di Raul Gardini, passato nel breve spazio di pochi anni da
plenipotenziario della finanza italiana a mendicante di qualche favore presso
Mediobanca di Cuccia.
Siamo forse alla resa
dei conti in un paese dove, da una parte la grande imprenditoria non è
mai decollata, soffrendo di nanismo dovuto all'arroccamento finanziario attorno
a poche famiglie del club, e dall'altra un boom
straordinario di piccola e micro imprenditoria diffusa ma poco strutturata ,
soprattutto nel nord est non ha saputo consolidare i patrimoni prodotti.
Ecco che quando i produttori
di ricchezza del paese si
trovano a confrontarsi con
con il fenomeno della globalizzazione, vengono a galla impietosamente tutte le
storture e le debolezze di un sistema produttivo cresciuto su basi sbagliate.
Diventa fin troppo
facile capire, quando i produttori di ricchezza del paese si trovano a
confrontarsi con
con il fenomeno della globalizzazione, vengono a galla impietosamente tutte le
storture e le debolezze di un sistema produttivo cresciuto su basi sbagliate.
Ora, fatta l'ennesima
diagnosi e capito da dove arrivano i problemi, bisogna finalmente decidere, e dire
da che parte si vuole cominciare a cambiare
il paese.
La prima cosa da fare
è tagliare massicciamente la spesa pubblica improduttiva, con la dismissioni
degli asset non strategici, un taglio
drastico dei dipendenti pubblici a partire dai funzionari, e con le risorse
risparmiate imprimere immediatamente un taglio vigoroso delle aliquote sulle
tasse di imprese, lavoratori e famiglie.
Non ci sono altre
ricette, tutto il resto è un comodo inganno.