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venerdì 31 luglio 2015

risparmio e debito, libertà e schiavitù

Risparmio uguale libertà, debito uguale schiavitù.

Questa è l'equazione che ricavo dalla mia esperienza personale di vita privata e aziendale e dalle tante testimonianze raccolte in vent'anni di vita sindacale in mezzo alle imprese. 
Cercherò di giustificare tale equazione tramite alcuni aneddoti della mia esperienza di vita e quindi vi racconterò un po' di me.

Ho ancora in mente quel giorno in prima elementare, quando il maestro portò in classe un funzionario della allora Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, precisamente della filiale n° 9 del Bassanello che ci fece un gran bel discorso sulla importanza del risparmio. Alla fine venne consegnato ad ogni alunno un libretto al portatore con 500 lire versate e un salvadanaio metallico fatto a libro, per cominciare a fare il risparmiatore.
Avevo sei anni, ma nella mia testa cominciava a essere chiaro che qualsiasi cosa io desiderassi avere, prima avrei dovuto risparmiare per esaudire il mio desiderio. Erano i valori che avevo imparato in casa fin da piccolo, da mio padre e da miei nonni che abitavano con noi.
Quelli nati negli anni 50/60/70, cioè quelli nati nel "boom economico",  sono cresciuti con la cultura del "sacrificio" dove era chiaro in tutti che il miglioramento di vita e  posizione sociale passava inevitabilmente dal lavoro e nel risparmio di una parte dei profitti derivanti da esso. 
Mi ricordo ancora quando da piccolo sentivo mio padre, piccolo imprenditore edile,  dire a mia madre "questo mese sono riuscito a mettere via 20 mila lire" e insieme progettavano i loro piani per comprare quelle cose (gli elettrodomestici in primis) che ti facevano sentire più "ricco". Ed era così un po' per tutti e partendo dagli elettrodomestici, passando per la macchina, si è arrivati alla casa. Prima si risparmiava, poi si comprava, questa era la regola e il modello di vita. 
Così è stato anche per me quando da studente adolescente ho voluto la "moto da cross", vera icona dei miei tempi. Mi ricordo che ero in prima superiore e nelle vacanze estive andai a fare il cameriere in un bar vicino al "Santo" (basilica di S. Antonio a Padova). Nei quasi tre mesi di lavoro, tra stipendio e mance, riuscì a "mettere via" i 280 mila lire utili a comprare il  mitico Ancillotti 50 cc con il motore Sachs (sacrificio, lavoro e risparmio).
Con questa filosofia sono cresciuto, ed è stato così per le piccole e grandi cose che ho fatto nella mia vita, anche nella "costruzione" delle fondamenta della famiglia che mi accingevo a formare.
Mi ricordo che con la mia "morosa" aprimmo un conto insieme quando cominciammo a pensare al matrimonio. Ogni mese io e lei versavamo una parte dei nostri stipendi e in dodici anni (tanto è durato il fidanzamento) riuscimmo a mettere da parte i soldi per comprarci l'appartamento e quelli per sposarci (sacrificio, lavoro e risparmio).
Con questi valori sono cresciuto, come uomo prima e imprenditore dopo, quando all'età di trent'anni rilevai l'azienda di papà. Anche nella mia attività andavo avanti con questi principi, cioè lavoravo con i miei soldi, nonostante i fidi che negli anni i direttori di banca mi concessero senza nemmeno richiederli. Anzi, quando andavo in banca mi sentivo dire " ma Lorin usi i soldi della banca come fan tutti e con i suoi si compri la casa in montagna o al mare, la macchina più grossa ecc.".
Io sono andato avanti con i miei soldi nel lavoro come nella vita, migliorando man mano e diventando un "benestante borghese" di quel ceto medio come molti imprenditori di quel tempo. Con la "mia" liquidità ero libero di fare quello che ritenevo meglio per me, la mia famiglia e la mia azienda, senza rendere conto a nessuno e potendo chiudere gli "affari" spuntando sempre un prezzo buono perché pagavo in contanti (stimolo alla lotta, alle scelte e alla responsabilità personale).
Poi arrivarono gli anni ruggenti, dove proliferarono costruttori e immobiliaristi e le banche davano i mutui "facili" fino al 120/130% del valore degli immobili. Gli anni della speculazione edilizia e dei mutui (debiti) trasformati in prodotti finanziari (derivati) alla fine degli anni novanta. In quegli anni furono costruiti i peggiori immobili mai visti, con classe energetiche inesistenti e spesso e volentieri senza parametri di sicurezza e abitativi. Un patrimonio immobiliare quello degli anni novanta che, se andiamo a vedere sarebbe da radere al suolo. Consumo del territorio senza logica e senza una visione futura.
Mi sono fatto coinvolgere anch'io in quel meccanismo per non restare emarginato dal mercato e all'inizio sembrava tutto facile. Non servivano più i sacrifici, i soldi giravano a mille e in maniera facile. Le banche erano bendisposte a darti credito, sempre di più, tanto che negli anni duemila un imprenditore valeva per l'ammontare degli affidamenti ottenuti dagli istituti di credito. Erano gli anni dell'avvento dell'euro, dove noi abituati a trattare cifre con una montagna di zeri, con l'avvento di questa moneta perdemmo anche la cognizione del valore stesso del denaro. Tutto sembrava costare poco per via della mancanza di zeri e nelle tasche giravano una miriade di banconote di grosso taglio. Successe a tutti coloro che avevano una attività in proprio di perdere via via il senso del sacrificio e con esso quello del risparmio, in un mercato drogato da fiumi di denaro virtuale e inesistente, basato sulla riserva frazionaria come garanzia e sul debito quale valore di mercato con i derivati.
In questa forma di enfasi collettiva di mercato drogato, era entrata in testa una sorta di idea, secondo la quale il denaro girava sulla spesa, ovvero più spendevi più soldi ti entravano.
Questo meccanismo portò le aziende (quasi tutte) a indebitarsi sempre di più (affidamenti sempre più alti) aprendo una miriade di conti bancari da far perdere la testa. Ogni conto nuovo aperto era un nuovo fido e una nuova liquidità da utilizzare. Un po' come stanno facendo gli Stati adesso, noi piccoli imprenditori che abbiamo fatto il "miracolo del nord-est", per pagare i debiti facevamo altri debiti. Sempre di più!
Ma così facendo, senza rendercene conto diventavamo sempre più poveri, ma con più case, più macchine con più cellulari, con più barche e etc.
Quando la crisi di metà anni duemila ci ha colti impreparati (tutti, compresi gli economisti e premi nobel) pensammo a un fatto passeggero e invece era l'inizio di un incubo per molti.
I nodi erano giunti al pettine. Le banche erano entrate in crisi di liquidità per il crescente numero di insoluti e come in un gigantesco domino, uno alla volta le piccole aziende poco capitalizzate (ci avevano insegnato a portare fuori i capitali dall'azienda per non pagare tasse) cominciarono a cadere.
E siamo giunti ai giorni nostri, dove la desertificazione delle piccole imprese è in pieno atto, spazzate via dall'improvviso bisogno delle banche di avere liquidità per coprire i buchi dei derivati, quindi dalla richiesta di rientro "subito" dai fidi.
Ecco che rincorrendo il debito abbiamo perso via via la nostra libertà di agire, diventando sempre più schiavi delle banche e dello Stato,  che a sua volta  indebitato oltre misura, ci impone sempre maggior tassazione, fino a strozzarci.
La morale che ho ricavato per insegnamento diretto dalla mia vita è questo; con la cultura del risparmio mi sono affrancato come uomo e come imprenditore e sono stato libero artefice delle mie scelte, con il debito sono diventato uno schiavo e più elevato è, più limitata è la mia libertà di scelta è la mia possibilità di scelta, mi sono uniformato
Luigi Einaudi pose il risparmio al centro della sua visione liberale della vita, considerandolo il vero motore dello sviluppo economico e delle persone. La centralità che Einaudi attribuisce al risparmio in tutta la sua teoria finanziaria, dove il risparmio non è solo una categoria dell'analisi economica, ma rimanda alla visione dell'uomo, "home faber fortunae suae".
Un ideale di uomo che lotta per diventare migliore, ma dipende da lui, e il risparmio è la via di accesso all'ascensore sociale.
Dunque il risparmio è il motore che spinge l'uomo alla lotta, alle scelte e alle responsabilità, tutti valori che oggi sembrano persi nell'oblio a vantaggio delle teorie "dell'ozio" derivanti dalla spesa per debito (visione keynesiana)
Il risparmio è indipendenza economica, è autonomia della persona, è stimolo di avanzamento economico.
Sono quanto mai convinto che la nostra società uscirà dal tunnel in cui si è ficcata solo attraverso una brusca inversione di marcia, riconquistando la cultura del sacrificio, del lavoro, del risparmio


1 commento:

  1. Con queste tue parole,che sono una lezione di vita..ti ringrazio mi fai ricordare le mie origini...i mie genitori in particolare mio padre mi insegnava a risparmiare. ..lui era un muratore sotto padrone e con molti sacrifici a costruito la nostra casa una stanza per volta,quando aveva i soldi comprava i mattoni..e la calce..e poi lavorava dopo la sua solita giornata di lavoro.
    Senza farci mancare niente,ci a insegnato a risparmiare e mettere via qualcosa per il futuro.
    Poi gli anni passano e capisci che facendo sacrifici e lavorando costruisci il futuro...ormai quella realtà è il passato,e non credo torni più, come dici tu Aladino siamo entrati anzi ci anno fatto entrare in un sistema di cose ...per tenerci sotto controllo. ...e questa non è più libertà. ...

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