Nel 2011 ben 11.615 aziende hanno chiuso i battenti per fallimento, un dato mai toccato in questi ultimi 4 anni di grave crisi economica. Un record che ci segnala quanto siano in difficoltà le imprese italiane, soprattutto quelle di piccole dimensioni che, come ricorda la CGIA, continuano a rimanere il motore occupazionale ed economico del Paese.
“La stretta creditizia, i ritardi nei pagamenti e il forte calo della domanda interna - segnala il segretario della CGIA di Mestre Giuseppe Bortolussi – sono le principali cause che hanno costretto molti piccoli a portare i libri in Tribunale. Purtroppo, questo dramma non è stato vissuto solo da questi datori di lavoro, ma anche dai loro dipendenti che, secondo una nostra prima stima, in almeno 50.000 hanno perso il posto di lavoro”.
Ma, ricordano dalla CGIA, il fallimento di un imprenditore non è solo economico, spesso viene vissuto da queste persone come un fallimento personale che, in casi estremi, ha portato decine e decine di piccoli imprenditori a togliersi la vita.
“La sequenza di suicidi e di tentativi di suicidio avvenuta tra i piccoli imprenditori in questi ultimi mesi – prosegue Bortolussi – sembra non sia destinata a fermarsi. Solo in questa settimana, due artigiani, a Bologna e a Novara, hanno tentato di farla finita per ragioni economiche. Bisogna intervenire subito e dare una risposta emergenziale a questa situazione che rischia di esplodere. Per questo invitiamo il Governo ad istituire un fondo di solidarietà che corra in aiuto a chi si trova a corto di liquidità”.
Infine, il segretario della CGIA di Mestre ritorna sui dati pubblicati ieri dal ministero delle Finanze.
“Attenti a dare queste chiavi interpretative fuorvianti e non corrispondenti alla realtà. Le comparazioni vanno fatte tra soggetti omogenei, ad esempio tra artigiani e i loro dipendenti. Ebbene, se confrontiamo il reddito di un dipendente metalmeccanico con quello del suo titolare artigiano, quest’ultimo dichiara oltre il 40% in più, con buona pace di chi vuole etichettare gli imprenditori come un popolo di evasori”.
IMPRESE: N° FALLIMENTI (anno 2011) | |||
N. fallimenti | Fallimenti ogni 10.000 imprese attive | ||
LOMBARDIA | 2.613 | 31,5 | |
LAZIO | 1.215 | 26,1 | |
FRIULI-VENEZIA GIULIA | 250 | 25,4 | |
MARCHE | 398 | 25,0 | |
VENETO | 1.122 | 24,4 | |
TOSCANA | 843 | 22,9 | |
UMBRIA | 185 | 22,1 | |
CAMPANIA | 1.008 | 21,3 | |
EMILIA ROMAGNA | 899 | 20,9 | |
PIEMONTE | 857 | 20,4 | |
LIGURIA | 235 | 16,4 | |
CALABRIA | 249 | 15,8 | |
SICILIA | 601 | 15,8 | |
PUGLIA | 529 | 15,6 | |
MOLISE | 49 | 15,2 | |
SARDEGNA | 213 | 14,4 | |
ABRUZZO | 180 | 13,5 | |
TRENTINO A.A. | 122 | 11,9 | |
VALLE D’AOSTA | 9 | 7,3 | |
BASILICATA | 38 | 7,0 | |
ITALIA | 11.615 | 21,9 | |
Elaborazione Ufficio Studi CGIA Mestre |
Dati spaventosi quelli che riguardano la chiusura di imprese per fallimento nel 2011. La cosa che spaventa ancora di più sono le previsioni negative per il 2012, anno di recessione profonda, che se associata alla maggior pressione fiscale che il governo si è avviato ad imporre alle imprese, non può che portare a risultati catastrofici. A questo va sommata la stretta creditizia che le banche hanno addottato nei confronti soprattutto della piccola e piccolissima impresa. Urge una inversione di tendenza rapida ed efficace, ma questo, per il momento,non è nei programmi del governo e le associazioni di categoria non sembrano in grado di promuoverlo. C'è da chiedersi se le associazioni di categoria economica abbiano ancora senso ad esistere, o se, come sembra, sono diventate parte integrale dello sfacio istituzionale e politico.
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