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martedì 27 agosto 2013

Quanto tempo possiamo permetterci di sprecare ancora?

Giorgio Panto; vizi e debolezze del sistema di rappresentanza imprenditoriale

Continua il viaggio alla riscoperta degli scritti di Giorgio Panto fatti una ventina di anni fa su questioni che si dimostrano ancora attuali, dimostrando lucidità e  lungimiranza su alcuni temi legati al nostro territorio.
Oggi vi propongo questa intervista del maggio del 1993 sul tema delle associazioni di categoria, nella quale Panto scatta una fotografia precisa e puntuale sulle debolezze del sistema della rappresentanza imprenditoriale e dei limiti che in questi vent'anni hanno contribuito alla desertificazione delle idee e delle proposte da parte degli imprenditori, contribuendo allo sfacelo del sistema produttivo del nostro territorio.
Questa intervista finisce con una esortazione che è una speranza che sembra scritta ora e valida ancor di più oggi di quando è stata scritta vent'anni or sono!
Rileggendo queste parole non si può fare a meno di pensare quanto tempo è andato sprecato inutilmente e fa scaturire una domanda legittima: "Quanto tempo possiamo permetterci di sprecare ancora?"


Intervista sulla situazione
 delle associazioni territoriali degli imprenditori

Ma perché ancora contro le associazioni territoriali?
La forza politica è latitante e allo sbando, quella sindacale ha una forte crisi di identità, sono crollate idealogie, gli slogan non attecchiscono più e si stanno imparando dure lezioni di libero mercato. Le associazioni di categoria imprenditoriali a livello centrale sono lontane dai problemi della "base", per una serie di convenienze e ambiguità. E' solo dalla "base" imprenditoriale che ci potrà essere un rinnovo di forze e di vera propositività. La "base" che lavora è stata ferita e bastonata, ora si sta leccando le ferite, ma sta anche rendendosi conto della sua forza.
Sono venticinque anni che ci siamo abituati a mediare la pressione delle vessazioni contro le nostre aziende, senza che gli organi centrali abbiano mai fato dura opposizione con uomini di spessore. E' questa "base" che produce la vera economia del paese, senza di essa è terzo mondo! Purtroppo le associazioni locali sono gestite ancora da una maggioranza reazionaria di piccoli potentati, che non vuole dispiacere allo "Stato maggiore" e ha troppa pusillanimità per scontrarsi contro un sistema "marcescente" che non gratifica né l'operaio ne l'imprenditore.
Devono andare a casa poiché stanno facendo violenza gli associati e al paese: la violenza del non fare.
Gli associati sono stufi del "far finta di fare" e dei discorsi sclerotizzati su letterine e giornaletti che da decenni fanno solo sbuffare e non servono a niente.

Ma perché questa sfiducia nella centralità?
La centralità fa capo a una ristretta lobby. La grande nomenclatura imprenditoriale non è in trincea ogni settimana come lo siamo noi. Le problematiche aziendali non sono le tasse.
Gestire migliaia di persone non è come gestirne decine o centinaia. Gli interessi che fanno capo a simili grandi concentrazioni finanziarie e produttive, possono in teoria e in base alle leggi di mercati sembrare gli stessi, ma a volte non lo sono.
Gli investimenti, i capitali che spostano, le grandi masse lavoro che mobilitano, coinvolgono cointeressenze politiche nazionali e internazionali, che le nostre dimensioni di "base" nemmeno si sognano. Ed è la "base" imprenditoriale che contribuisce per l'85 per cento al prodotto interno lordo.
Senza di essa non ci sarebbe benessere, cultura, risparmio, pluralismo.

Ma insomma, che responsabilità può addossare alle associazioni imprenditoriali?
Ora c'è la corsa alla privatizzazione! Ma con il centrosinistra, con le nazionalizzazioni dissennate dell'energia elettrica, dei telefoni, dei trasporti, ecc. ecc. ecc..., dov'era la Confindustria?
Nell'autunno caldo, salario variabile indipendente, statuto dei lavoratori per che non voleva lavorare e contratti di lavoro che hanno seminato catastrofi, ferite economiche ancor oggi aperte, dov'era la Confindustria?
Ancor oggi viene consegnato al dipendente meno della metà del suo stipendio mentre il costo del salario è il più alto del mondo! Dov'è la Confindustria?
Negli Stati Uniti duecentottanta milioni di cittadini e due milioni e mezzo di dipendenti pubblici. In Italia cinquantasette milioni di abitanti e quattromilioni trecentomila dipendenti statali. Negli Stati Uniti cinquecento parlamentari. In Italia novecentottanta.
Ma dov'è la Confindustria? Perché non si fa niente per ristabilire quella scuola di mestiere che si chiamava apprendistato, la fantasia e la manualità che l'artigiano sapeva esprimere oggi stanno morendo.
Ma dov'è la Confindustria?

Ma oggi con il crollo di ideologie e di slogan che avvelenano la nostra democrazia, si punta all'efficienza e alla produttività...
Ma ci rendiamo conto oggi di cosa sono i sostituti d'imposta, i mostruosi sostituti di contabilità Inps e Inail, le statistiche dei vari enti, i sostituti di stesura e compilazione del "740" per i dipendenti, le importazioni intercomunitarie che dal 1 Gennaio 1993 si sono maledettamente complicate e burocratizzate. 
Un terzo dei nostri impiegati sono costretti a scrivere numeri inutili!
Ma i presidenti della Confindustria e dell'Api si sono mai soffermati sulla compilazione di una bolla accompagnamento beni viaggianti e sui meccanismi necessari per venire in possesso dei formulari?
Perchè abbiamo pagato fino a ieri il bollo sul fuoco, e lo paghiamo sulle carte bollate, sugli assegni, sulle cambiali, sulle ricevute, sulle patenti, sui passaporti, ecc.ecc.ecc...?
Burocrazie "inventa-costi" che non pagano nemmeno se stesse! Perché per riscuotere dopo anni, un nostro sacrosato credito d'Iva., siamo costretti, colmo della beffa, a spendere fior di milioni in assicurazioni? L'imprenditore diventa servo della burocrazia, abbruttito da sevizie continue. Ma insomma che è che ci rappresenta? Sono degli extraterrestri?

Ma le associazioni di categoria fan capo a personaggi di spicco consigliati da economisti di fama europea?
E allora che si battano strenuamente perché la nostra tassazione sia equipollente a quella dei nostri partner europei, con i quali dobbiamo convivere in un regime di libera concorrenza.
Che si battano perché l'operaio venga dato tutto lo stipendio e non metà del suo costo! Che si battano per tirare lo sciacquone sui costi di una burocrazia frustrante e inutile. E battersi non vuol dire starnutire. O vivere in Europa vuol dire solo ricevere calci sul sedere dai partner perchè stufi di darci credibilità? Sono ormai decenni che si è provveduto a distruggere l'immagine dell'impresa, e questo è stato possibile solo perché chi ci rappresenta è stato più connivente al sistema che feroce oppositore. Un timido passo avanti per fingere di osare e due indietro per prudenza. Noi popolo imprenditoriale"bue" abbiamo il costo del denaro più alto del mondo; vorremmo proprio conoscere cosa pagano di interesse le operazioni finanziarie della grande nomenklatura imprenditoriale. Ma il vorremmo rimanere pur sempre un'utopia, poiché non esiste trasparenza, e le associazioni territoriali che avrebbero la forza per pretenderla, sono le prime a fare bilanci ambigui, fatti approvare per alzata di mano, senza che gli associati li abbiano mai visti, spendendo e sperperando in iniziative improduttive. 
Un quarto di quello che incassano va a vantaggio dell'associato, il resto è tutto bluff operativo.

C'è una gran voglia di aria fresca e nuova. Ma c'è anche paura della novità. Giusto?
Gli imprenditori sono abituati a viaggiare, a spostarisi all'estero e a confrontarsi. Il più delle volte, salvo nel terzo mondo, si accorgono che i nostri problemi là sono stati in gran parte risolti: ciò è frustrante.
La novità non deve far paura, poichè basterebbe umilmente e spudoratamente copiare, dove hanno insegnato e professato le leggi del libero mercato, senza impastoiarle ipocritamente con le diseconomie del socialismo reale.

C'è qualcosa che ci fa sperare in un futuro più sereno ed ottimista?
Si, il coraggio degli imprenditori e dei loro operai, degli artigiani, dei professionisti, dei giudici non politicizzati, della gente che ha imparato a sostenersi sulle proprie gambe confrontandosi giorno dopo giorno con la propria intraprendenza e operosità, abituati a non pesare sulla nostra economia ma a portar pesi.
E' il coraggio di un popolo che ha detto basta e poi basta a tutto ciò che è in odor di partitocrazie.
Anche fra gli Imprenditori che producono c'è gran voglia di pulizia e facce nuove.

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